Cento anni ma non li dimostra: la bonifica sfida la crisi climatica

Per la prima volta, dopo le varie esperienze positive già maturate in epoca giolittiana, esperti e studiosi, rappresentanti delle istituzioni e della politica, si riunirono per concepire la bonifica delle terre come azione congiunta di sistemazione idraulica, risanamento igienico e trasformazione agraria. Oltre ad affrontare i problemi tecnici, economici e sociali legati alle bonifiche, quelle giornate fecero emergere le differenti condizioni idrologiche del territorio italiano e il bisogno di diverse modalità di intervento. Le riflessioni furono da riferimento per una serie di provvedimenti legislativi emanati negli anni successivi, fino ad arrivare, con il Regio decreto 215 del 13 febbraio 1933, al Testo unico della bonifica integrale.
Quel percorso istituì i Consorzi di bonifica come enti pubblici economici in autogoverno, con la funzione principale di bonificare le aree paludose per rendere fertili i terreni e destinarli alla produzione agricola e zootecnica. Poi nel corso degli anni l’ordinamento legislativo in materia di bonifica è stato demandato alle Regioni, fino a giungere al riordinamento realizzato con l’accordo Stato-Regioni del 2008.
Il centenario viene omaggiato quest’anno dalle parti sociali del settore con diversi eventi. Più che uno sguardo rivolto al passato, il valore della ricorrenza sembra acquisire importanza soprattutto alla luce delle sfide legate al sistema produttivo, alla transizione ecologica e alla messa in sicurezza del territorio. “L’Italia aveva già inventato l’idea di sostenibilità ambientale”, commenta il Segretario generale della Fai Cisl Onofrio Rota, che specifica: “Oggi i Consorzi sono versione 4.0 e devono essere sostenuti dalle istituzioni e governati dal mondo agricolo perché diventino attori primari contro i cambiamenti climatici, per prevenire il dissesto idrogeologico, produrre energia pulita, consolidare l’agroalimentare: una multifunzionalità che deve essere valorizzata anche con quanto previsto nel Pnrr”.
I Consorzi di bonifica sono attivi su 17 milioni di ettari di pianura e collina, irrigano 3,3 milioni di ettari e allontanano le acque in eccesso nei tanti territori posizionati sotto il livello del mare. Con circa 10 mila addetti, gestiscono 200 mila chilometri di canali e oltre 900 impianti idrovori. Di fatto, l’85% del cibo made in Italy è prodotto grazie all’agricoltura irrigua.
Tra le grandi emergenze che vedono protagonisti i Consorzi, c’è senz’altro la siccità. “Dobbiamo imparare a contenere acqua dolce, visto che in Italia il 90% delle piogge va disperso inutilizzato in mare”, ha denunciato Massimo Gargano, Direttore Generale Anbi, presentando un “Piano laghetti” che prevede di realizzare 10 mila bacini medio-piccoli, multifunzionali ed ecocompatibili, entro il 2030, con i primi 223 progetti già cantierabili. Un piano che comporterà nuova occupazione, con circa 16.300 unità lavorative, e un incremento di 435 mila ettari delle superfici irrigabili. Con risvolti positivi anche in termini di indipendenza dall’estero per le produzioni agricole.
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