Conversazione con il Maestro Debora Ferruzzi Caruso

Debora Ferruzzi Caruso Debora Ferruzzi Caruso
Venerdì 24 giugno 2022 alle ore 16.30, presso il Padiglione Nazionale Grenada, alla 59 Biennale di Venezia Arte, sarà ospitata una conversazione con Debora Ferruzzi Caruso, nota acquarellista del panorama internazionale, che davanti ad un pubblico di esperti, parlerà delle sue ricerche artistiche sullo Shakespeare Mas, tematica principale indagata dall’intera esposizione.

L’appuntamento, ad ingresso libero, è presso il Giardino Bianco Art Space in via G. Garibaldi 1814 in zona Castello (Venezia). Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla per comprendere come il carnevale di Carriacou, la piccola isola caraibica, sia stato oggetto di riflessione e incontro.

Lo studio sullo "Shakespeare Mas" l’ha affascinata a tal punto da realizzarne un tributo artistico, può parlarcene?

Ho pensato di fare un omaggio a questa interpretazione del Giulio Cesare in maschera, con una opera figurativa il cui significato sta nella forte emozione, quasi drammatica che genera nel fruitore. Fra l’Italia e lo Shakespeare Masquerade (MAS), vi è un legame duplice “Giulio Cesare” e il Carnevale Veneziano passando da Shakespeare, drammaturgo inglese che affronta il tema della vita-morte. Il dramma, tematica importante, si percepisce anche in questa opera dove c’è una maschera ma soprattutto una persona dietro, che prova un turbamento, lo stesso provato da me mentre dipingevo, legato al momento storico dei primi di marzo 2022. La ragazza sta piangendo. Questa dicotomia tra lo sfarzo del costume, i fiori, i pizzi, e ciò che sta provando vengono percepiti nella loro totalità. In fondo ognuno può rivedersi nel soggetto raffigurato, ad un’apparenza serena e tranquilla può sottostare un sentimento complesso, turbato e triste. Ecco il legame tra questo raffigurato e le altre opere d’arte esposte nel Padiglione Grenada, che giungono da realtà diverse ma che trovano un senso comune nell’interpretare il sentimento legato al dramma, decantato ed espresso dal grande Shakespeare nel Giulio Cesare ed intrepretato nella tradizione dello Shakespeare Mas.

 

Che significati incarna per lei la maschera?

La penso sostanzialmente legata al Carnevale pre-quaresimale. La maschera è finzione, bellezza, è uno strumento che permette di proiettarsi in un altro mondo, di fantasticare perdendo la propria identità e assumendo quella del personaggio indossato. Seppur in questo caso però la maschera non camuffi totalmente la persona che la indossa, riflettendone il suo stato d’animo turbato.

 

Quali sono le caratteristiche della tecnica dell’acquerello che predilige?

Sicuramente la trasparenza, la possibilità di fare esaltare il contrasto luce/ombra, vedere scorrere il colore che si mescola trasportato dall’acqua. Ma soprattutto la velocità di esecuzione. Ho frequentato per molti anni corsi di acquerello, il mio maestro diceva che per fare un acquerello occorrono venti anni e due ore! Venti anni di tecnica e due ore di realizzazione. Qui sta tutta la bellezza e la potenzialità della pittura ad acquerello. Quando dipingo mi dimentico della tecnica e in quelle due ore, posso calarmi velocemente nella parte destra del cervello, lasciarmi andare alle immaginazioni spontanee, diventare spettatrice delle mie opere. Così mi sono accorta che i sentimenti da me provati, venivano colti anche dal fruitore. L’acquerello talvolta consente di andare al di là di quello che si vede ed è nell’anima di chi dipinge. Del concetto legato alle immaginazioni spontanee, il filosofo americano Kendall Walton in Mimesi come far finta scrive: «Le immaginazioni spontanee hanno una vita propria. Colui che immagina è più uno spettatore che un loro esecutore. Più che costruire il suo mondo immaginario, lo sta a guardare allorché gli si dispiega. Esso sembra meno il suo stesso artifizio che qualcosa di creato ed esistente indipendentemente da lui. Può essere sorpreso da cosa ne viene fuori». Quindi la tecnica ad acquerello è quella che più mi si addice per esprimere le mie emozioni che dialogano con il fruitore con un linguaggio diverso dal pensiero.

 

Sappiamo che è laureata in Astrofisica. Come concilia la sua professione con l’aspetto artistico?

Direi che le mie due grandi passioni si completano. Fin da piccola mi sono appassionata ad entrambe. La curiosità credo sia un grande motore. Ho la tendenza ad avere un approccio scientifico anche nell’affrontare l’aspetto artistico, la scelta dei materiali, il metodo. Anche il potersi abbandonare ai sogni le accomuna entrambe. Mi occupo di tecnologie spaziali, di grandi telescopi, di strumentazione e devo dire che l’astronomia non sarebbe arrivata alle attuali frontiere senza degli appassionati, competenti sognatori.

 

Il suo acquerello è stato interpretato in senso malinconico ed elegiaco. Stefania Pieralice ne parla affermando: «È qui il crepuscolo della festa, dei travestimenti, di ogni delirio o illusione. Così la maschera saluta la scena in bilico tra la vita e la morte. Il miraggio della festosità si congeda in questo acquerello bagnato da malinconia e mestizia». Concorda con questa lettura dell’opera?

Certamente, il testo genera con le parole un sentimento forte, lo stesso che ho provato durante la realizzazione del dipinto.

 

Intervista a cura di Erminia Proietti

 

 

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.