Conversazione con il Maestro Mariangela Calabrese

La poetica della Calabrese risulta profondamente legata al tema del Padiglione Nazionale dal titolo “An Unknown that Does Not Terrify” e al filosofo intellettuale Edouard Glissant nel modo in cui si abdica a una unicità formale a vantaggio di forme multiple e della volontà «di disfare i generi» da cui parte un’identità in continua evoluzione.
L’appuntamento, ad ingresso libero, è presso il Giardino Bianco Art Space in via G. Garibaldi 1814 in zona Castello (Venezia). Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla per comprendere come l’esposizione sia stata oggetto di riflessione e incontro con la sua peculiare poetica.
Con il concetto di “Estensionismo Pittorico” assistiamo a un superamento dei limiti del visibile. In che modo riesce a giungere a questo risultato?
Direi che l’essenza della mia attività artistica è data dalla continua sperimentazione, anche tra linguaggi diversi, un percorso di contaminazioni e proiezioni, di osservazione e rielaborazione. Da un po’ di anni accade che nell’elaborazione dei miei lavori, io capovolga la tela o giri intorno ad essa e lavori contemporaneamente sui quattro lati allo scopo di sperimentare innovative soluzioni formali rispetto a quanto realizzato nel corso degli anni precedenti. Quello che ho chiamato Estensionismo Pittorico, in realtà un informale meditativo, (superamento del gesto) conserva la percezione “dell’immagine” o l’evocazione di essa, conferendo nuove identità, per via di una conseguente molteplicità di visioni all’opera che così realizzata acquista non solo una faccia, ma quattro, perché la rotazione avviene di 90° per quattro movimenti consequenziali. Dalla rotazione, in base al suo verso essa assume una nuova forma, un racconto narrato che di volta in volta contiene connotazioni diverse, un significato aggiunto. Da sottolineare, in tale condizione, la fondamentale relazionalità con l’interlocutore. Sin dall’inizio della mia formazione ho intuito e appreso che l’Arte è linguaggio, comunicazione, ma direi soprattutto partecipazione.
Da dove nasce l’idea di generare in seno all’opera diverse identità e nuove partecipazioni inclusive dell’osservatore?
Non voglio scomodare i Cubisti e la quarta dimensione perché non c’è azione di scomposizione - ricostruzione, ma nemmeno Baselitz che pure nell’operazione di capovolgimento del quadro, nel 1969 afferma: «Ribaltare la figura nell’immagine mi ha dato la libertà di interessarmi (esclusivamente) ai fatti pittorici». Ecco, trovo questa affermazione fondamentale perché i «fatti pittorici» contano davvero molto in un dipinto. E la mia ricerca vuole indagare nuovi fatti pittorici. Anche se il concetto di fondo non è di capovolgimento ma di elaborazione, costruzione sui quattro lati con indagine di equilibrio tra realismo e astrazione: ogni lato d’appoggio crea un verso all’opera con un suo senso proprio, una sua “figurazione” e un’aderenza significativa alla realtà. Credo di poter affermare che trattasi di novità in campo dell’arte, le mie conoscenze, fino ad oggi, non mi portano ad esperienze simili effettuate da altri.
Quanto nella sua poetica è importante il concetto di “spaesamento”?
Spaesamento come ribaltamento del ruolo consueto dell’osservatore che coinvolto in una relazione più intima con l’opera attribuisce ad essa una configurazione non soltanto di plastica visibilità ma di mutazione relazionale. Il significante dell’arte invade e pervade il tempo del confronto, del contraddittorio, della riflessione, del progresso. Penso che ciò indichi che l’artista, in quanto esecutore materiale dell’opera è legato alla «responsabilità di significare», significare il suo tempo, l’opera d’arte non può sottintendere solo un ruolo “taumaturgico”, ha un ruolo costruttivo con l’altro…
Tra le sue recenti collaborazioni l’esperienza, nel 2022, nel progetto “Cura di Sé cura dell’Altro” patrocinato dalla Fondazione Pistoletto e Benotto. Può parlarne?
Da 2012 partecipo ad alcuni progetti di Mail Art, forma d’arte relazionale ed inclusiva. Ho trovato fortemente motivante la call “Cura di Sé cura dell’Altro” patrocinata dalla Fondazione Pistoletto e Benotto. Il tempo sospeso della pandemia vissuta negli ultimi anni ci ha portato a scoprire soprattutto le nostre fragilità, non solo di essere impotenti di fronte ad un nemico sconosciuto, conducendo tutti a riflettere con maggiore responsabilità che: il rispetto di sé è automaticamente rispetto per gli altri. La vicenda “sociale” si è fatta all’improvviso matrice di riflessioni creative e prosecuzione di un lavoro più ampio.
Intervista a cura di Erminia Proietti
Alessandro Poggiani
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