Tre Maestri italiani del Surrealismo alla Pinacoteca Comunale 'Antonio Sapone' di Gaeta

Gianni Garrera, nel testo “Declinare favole” che accompagna la mostra, sottolinea che Benaglia, Borghese e Fortunato raccontano la medesima favola, ma da tre diversi punti di vista.
Per Borghese è essenziale la morale della favola, anzi: il moralismo della favola, per lui che sceglie sempre di rappresentare la Forza, la cromia da uniforme, il perenne assetto in abiti da ufficio, anche durante l’ipocrisia di momenti ricreativi, come picnic, gite in barca, giostre.
Tutto ciò contrasta con la sincera ricreazione di Benaglia, dove rispetto al vigilare degli impieghi domina la virtù onirica delle passeggiate libere, dei giochi sognanti nei giardini, della possibilità incantata di prendere ovunque il volo. In Benaglia essere favolosi è uno stato dell’essere che decide di non frequentare distretti, tribunali, scuole, ma predilige gli intervalli di svago, come momenti di suprema distrazione negli obblighi di una giornata.
Infine, nella pittura di Fortunato è la Storia che assume le sembianze fiabesche di una narrazione. Nessuna divisa, come nella costituzione amministrativa degli uomini di qualità di Borghese, ma le livree, gli stendardi e le bandiere dei regni e la consapevolezza che le scoperte, le conquiste sono ormai, pur essendo dati storici, favole. In questo senso egli imposta i dipinti alla maniera iconografica di un cantastorie.
Benaglia sviluppa le eccezioni oniriche dello svago, la nostalgia di saltare su una sola gamba, l’essere snodati come burattini e bislacchi come funamboli, mentre in Borghese la dignità e la postura burocratica è un peso di seriosità che campeggia in qualsiasi diletto. L’incanto topografico di Benaglia è il luogo prescelto per l’evasione, l’ora del passatempo, le sue porzioni di paesaggio sono angoli divertenti e privi di gravità. In Borghese ogni luogo è prosaicamente depositario della destinazione data dalle consuetudini feriali e festive della vita: i suoi professionisti, i suoi burocrati o amministratori sono il più delle volte ritratti a passeggio per le vie, ma il passeggiare della borghesia è sfilata sociale, parata, non vera ricreazione, pur non accomodati nei loro scanni e dietro alle loro scrivanie, i personaggi restano fedeli al proprio incarico, che è il loro destino costituito, non smettono mai l’uniforme, la divisa, gli accessori d’ordinanza, il petto in fuori e lo guardo appuntito.
In Fortunato propriamente non vi sono luoghi ma continenti, non vi sono paesi ma atlantidi, le sue figure si affacciano sempre sul mondo intero, anziché sugli spicchi di giardini e quartieri dorati di Benaglia o sulle pinete e vie di traffico di Borghese, dove continua a ridondare la costipazione degli uffici. Dignità e rettitudine vengono rispettate anche nell’esecuzione di una capriola. Così in Fortunato la fiaba diviene Storia e i paesi inesplorati sono cosmi. I luoghi rappresentati da Benaglia sono angoli meravigliosi d’appresso a noi, ma dipinti come fossero terre lunari, il paesaggio è sempre circoscritto e per certi versi recintato e protetto (con staccionate, muretti di cortile, siepi), mentre in Fortunato il mondo rinvia sempre a terre e mari e cieli sconfinati, anche quando li scorgi calati in un pozzo o solo riflessi in uno specchio.
Benaglia fa convivere miti, fiabe, monumenti, fontane, idoli, giocattoli. Il bizantinismo di Fortunato invoca mitologie remote, vere terre avventurose, e tratta la storia come un soggetto esotico e fiabesco. L’illustrazione ha surrogato la cronaca al fine di congegnare un nuovo vocabolario dei sogni, come una sorta di personale enciclopedia di meraviglie: sagome di realtà lontane nel tempo e nello spazio si ritrovano riunite nel medesimo anfiteatro, come in una suprema sintesi filatelica.
Benaglia scopre che l’iperuranio è infrattato nei quartieri di una città, come giardino pubblico, spiazzo o cortile o vicolo cieco in cui i sogni possono saltellare o camminare a testa in giù. Tutto ha contorni frastagliati e colori in filigrana, al contrario della tinta “statale” e del calco in serie dei moderni ominidi di Borghese: la burocrazia vigente (la proliferazione degli uomini di legge, dei presidi, degli esattori o dei becchini delle Avventure di Pinocchio) circola in gruppo (esattamente per nucleo familiare o consorteria) per la città e per le vie d’intorno o va in villeggiatura, ma conferma se stessa in ogni circostanza, anche in assenza di Palazzo, anche senza Ministeri e in assenza dell’esercizio delle funzioni, la sua stazza è solenne e florida, massiccia e di peso come un fermacarte da scrivania!
La mostra, organizzata dalla Galleria d’Arte “Purificato.Zero” di Roma, resta aperta fino al prossimo 31 agosto il venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e il sabato e la domenica dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00.
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