Emergenza salari bassi: sindacati chiedono al Governo interventi urgenti

Una richiesta che vogliono sia gli industriali e sia i sindacati, che l’hanno richiesta già un mese fa alla ministra del Lavoro Marina Calderone. Al momento, però, sembra che non sia stata fissata nessuna data e, soprattutto, il Governo non ha né un’idea né un percorso di intervento.
Anzi esiste una doppia agenda: da una parte quella del Ministero del Lavoro con l’incontro fissato per giovedì 12 gennaio riguardante la sicurezza sul lavoro ed il 19 sulla riforma delle pensioni; dall’altra quella del Mimit, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con vari tavoli previsti dal ministro Adolfo Urso sulle crisi industriali. In nessuna delle due agende, però, compaiono le retribuzioni ostacolate dalla super inflazione.
Il rischio di una crisi sociale è molto elevato. La ministra ne è consapevole e ne parlerà con i sindacati ed imprese già giovedì. Bisognerà scandire il ritmo del confronto procedendo per priorità. Ed i salari certamente lo sono.
Nell’intervista a Repubblica, l’ex presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, evocava il metodo Ciampi del 1993 che portò ad una nuova politica dei redditi in Italia. Però, nei trent’anni successivi, poco si è mosso, anzi i salari reali sono scesi, complice una crescita anemica dell’Italia intralciata da una scarsa produttività.
Da una parte, Confindustria si dichiara non disposta a sobbarcarsi il peso degli aumenti. Il suo presidente Carlo Bonomi chiede da molto tempo il taglio di 5 punti del cuneo contributivo a carico dello Stato: il Governo Meloni si è impegnato a farlo, ma nell’arco della legislatura. E, nel frattempo, i prezzi corrono, i bonus sono finiti ed il taglio del cuneo attuale copre solo i redditi medio-bassi (tre punti fino a 25 mila euro e due fino a 35 mila euro), tagliando fuori il ceto medio che è in forte sofferenza.
Dall’altra, invece, i sindacati non sono compatti. La Cgil di Maurizio Landini e la Uil di Pierpaolo Bombardieri sono scesi in piazza a dicembre con scioperi territoriali contro la manovra del Governo Meloni (flat tax e voucher nel mirino). Chiedono all’esecutivo di alzare la tassa sugli extraprofitti per finanziare un taglio sostanzioso del cuneo. La Cgil, inoltre, punta ad indicizzare le detrazioni fiscali. La Cisl, guidata da Luigi Sbarra, è invece più dialogante, plaude al taglio del cuneo, ma spinge anche per rafforzare la contrattazione integrativa e territoriale, ad agire con altri strumenti come il welfare.
Il problema sono i contratti non rinnovati: il Cnel ne conta almeno 30 scaduti dei circa 200 più rappresentativi firmati da Cgil, Cisl e Uil con le rappresentanze datoriali (anche se Confindustria sostiene di averli rinnovati quasi tutti). In concreto, oltre la metà dei dipendenti privati italiani lavora con contratti scaduti anche da molti anni (6,8 milioni su 12,8 totali di cui 12,5 milioni rappresentati da Cgil, Cisl e Uil).
Al rinnovo dei contratti si applica anche un indice inflattivo (Ipca) che i sindacati contestano perché non tiene conto della componente energetica, che in questo momento è alle stelle. Ma Confindustria non intende fare cambi in corsa, in quanto l’Ipca fu fissato nel Patto della fabbrica del 2018.
Attriti su cui lavorare e che sono destinati a crescere, qualora il Governo tornerà a liberalizzare i contratti a termini senza causale. Le imprese contente, i sindacati molto meno.
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