Intervista a Lorenzo Scaraggi, giornalista viaggiatore. Ci racconta storie di memorie, di rinascita e di libertà

Laureato in Lettere a Bari, ha affrontato poco più che ventenne i primi viaggi da fotoreporter freelance in Medio Oriente, documentando le guerre in Iraq e nella Striscia di Gaza. Autore di reportage nella Ex Jugoslavia e in Cina, ha collaborato con «la Repubblica» raccontando storie di provincia in mini documentari e insegnato Digitalizzazione dei beni culturali immateriali in un corso di alta formazione presso l’Università di Bari. Nel 2016, alle soglie dei quarant’anni, ha acquistato un camper del 1982 e raccolto 7.500 euro di donazioni dai 5mila follower della pagina Facebook di allora (oggi sono oltre 22mila) per realizzare il suo progetto: girare l’Europa per raccontare storie. Il camper è stato ribattezzato Vostok100k, ispirandosi alla navicella di Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio. In quattro mesi a bordo della sua redazione mobile, Lorenzo ha visitato ventitré Stati percorrendo oltre ventimila chilometri. Realizza documentari premiati in tutto il mondo, visita luoghi di memoria, incontra persone. Ricambia l'ospitalità che riceve raccontando le storie di terre vicine eppure lontane. Parla di semine e raccolti, di redenzione e del lavoro come atto rivoluzionario.
Lorenzo, da anni racconti storie in giro per l'Italia, entrando in contatto con persone che hanno faticosamente cercato un riscatto, uscendo da situazioni difficili per tornare alla vita e alla 'libertà'. Come nasce il bisogno di parlare di quelle che tu stesso definisci 'storie di confine'?
L’espressione “storie di confine” è nata quando ho fatto il giro d’Europa in solitaria. Andavo alla ricerca di quelle storie che parlassero dei confini in senso lato, metaforico, tra uomini e tra luoghi. Oggi quando vado alla ricerca di storie i confini che immagino sono quelli invisibili che spesso ci fermano rispetto all’approfondire, alla ricerca, al voler guardare oltre. Abbiamo bisogno di tornare a raccontare storie, c’è una necessità che mette le radici in qualcosa di atavico proprio perché abbiamo bisogno di tornare a riscoprire quello che ci sta intorno, quello che c’è nella nostra storia, quello che abbiamo dimenticato, quello che esiste eppure non riusciamo più a riconoscere. Quello che spesso faccio non è altro che scavare e riportare alla luce.
Oggi tutto è veloce, viviamo scorrendo Facebook con una velocità impressionante spesso senza approfondire. Tornare a raccontare storie vuol dire rallentare, fermarsi, a volte, è goderci il racconto, la narrazione, nella disarmante semplicità che tutto questo rappresenta: se i primi uomini hanno sentito la necessità di raccontare sulle pareti delle caverne scene di vita quotidiana, se continuiamo a emozionarci ogni volta che leggiamo Omero, se i nostri nonni alimentavano la propria immaginazione e curavano la socialità raccontando ore intorno a un fuoco un motivo ci deve essere…
«La terra può essere punto di partenza, la terra non ti giudica e se veramente lo vuoi lei ti regala una seconda possibilità, sempre. Basta saperle rivolgere la parola, rispettarla in una sorta di preghiera anarchica». Con queste parole si conclude il tuo documentario Madre nostra, prodotto da Fondazione CON IL SUD e Apulia Film Commission attraverso il Social Film Fund Con il Sud. In questo tuo lavoro ci parli della terra e di come possa donare redenzione alle donne e agli uomini. Il tuo viaggio fra orti sociali, terre confiscate alla mafia e comunità agricole delle campagne pugliesi è un messaggio di positività e speranza che porti anche all'interno delle scuole. Quanto è importante parlare ai ragazzi delle nostre radici, dei semi della vita che ci rappresentano?
Scontato dirlo, se vogliamo usare la metafora dell’agricoltura, i ragazzi rappresentano terreni che possiamo rendere fertili e produttivi tutti i giorni. Dipende da noi. In occasione degli esami di stato ho saputo che due ragazzi presenti ad una delle mie proiezioni hanno scritto una tesina partendo proprio dalle proprie riflessioni relative a Madre nostra. Devo confessare che è molto emozionante parlare davanti a centinaia di ragazzi e vedere che spesso restano con il fiato sospeso, mentre ascoltano le storie di redenzione che ho raccolto per girare il documentario. Questo è qualcosa che ci dona speranza perché spesso gli adolescenti sono accusati di superficialità, puntiamo il dito contro i ragazzi con la stessa superficialità di cui li accusiamo senza renderci conto che, e questa è una delle cose che mi emozionano di più, una nostra parola, un nostro insegnamento può restare impresso e cambiare una vita intera.
Ma parlare di certe tematiche è importante sempre, anche nel caso degli adulti. Dimentichiamo troppo spesso che la mafia non è qualcosa di alieno ma è ben presente, è permeata nel nostro tessuto sociale. La mafia si alimenta di tutto quello che ci circonda. Invisibile ma sempre presente in molti aspetti della nostra società.
Ti faccio un esempio: quando stavo girando Madre nostra e raccontavo a qualche amico pugliese che stavo girando un documentario che avrebbe parlato anche delle terre confiscate alla mafia, in molti mi dicevano «Quindi andrai in Sicilia?». Madre nostra è girato interamente in Puglia e racconta realtà che noi crediamo siano lontane da noi. I luoghi comuni sono pericolosi, pensare che la mafia si trovi in Sicilia è un processo pericoloso perché ci assolve da molte responsabilità e dal dovere di aprire gli occhi per renderci conto che nessuno può essere immune a un cancro tanto grande e presente tra di noi.
Nelle storie di cui ci parli la protagonista è donna. La madre terra... e le mogli che sono accanto agli uomini in questi viaggi straordinariamente coraggiosi. Non è un caso, vero, che il tuo lavoro sia dedicato alla "Madre nostra"?
Dopo le proiezioni del documentario generalmente il pubblico si divide in due: c’è chi dice che i protagonisti sono tutti uomini e chi replica che tutti gli uomini parlano delle proprie mogli come supporto imprescindibile per il proprio percorso verso la redenzione. “Madre nostra” è la terra, è l’agricoltura, è reale. Tutte le religioni nascono per venerare la Grande Madre e poi diventano maschili. La Terra, il culto della Terra è qualcosa di primitivo, di istintivo, di fondamentale e quella stessa Grande Madre è la protagonista del mio documentario.
Si prega il Padre Nostro che è nei cieli ma non ci si accorge che la Madre Nostra è la terra e ci può far rinascere tutti i giorni della nostra vita. A quella Madre è dedicato il documentario: nella sua realtà, nella sua concretezza materica, nella sua materna redenzione sempre a disposizione di chi sa rispettarla. E poi nel documentario, così come hanno fatto tutti i protagonisti, c’è anche una mia dedica a Valentina, mia moglie, supporto imprescindibile nella genesi, nella realizzazione e nella trasformazione di Madre Nostra da idea a storia concreta.
La costante è il femminile nascosto, che come la Madre del documentario, osserva, accompagna, benedice e funge da fondamentale tassello maieutico di tutta la narrazione.
Nel corso di questa nostra intervista hai fatto riferimento ad Omero e alle emozioni che suscita, ancora oggi, la lettura delle gesta coraggiose di Ulisse. La nostra storia è stata tramandata attraverso il racconto di storie che parlano di uomini e del loro desiderio di scoperta, della forza e del coraggio di sfidare la sorte e di riuscire a tornare 'a casa'. Anche le tue, proprio perché vissute a stretto contatto con i protagonisti, toccano il cuore di chi ascolta. Il tuo contributo, sia sul fronte sociale che antropologico, è grande. Quali i tuoi progetti futuri?
Sono un cercatore di storie ma prima ancora un viaggiatore, un marinaio a bordo del mio vascello di lamiera, il Vostok100k, il mio camper, e come ogni marinaio che si rispetti sono scaramantico: quando sarà il momento racconterò tutto sulla mia pagina Facebook VOSTOK100k. Di sicuro ci sono il mio spirito curioso, una partenza imminente e, come al solito, una manciata di storie da raccontare, al Dio del Viaggio piacendo…
Grazie, Lorenzo, per questa tua preziosa testimonianza. Abbiamo tutti bisogno di ascoltare le tue storie perché abbiamo tutti bisogno di stimolare cuore e immaginazione.
Seguire Lorenzo è un po' come salire sul camper e viaggiare insieme a lui.
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