Nutriscore, un pericolo reale che potrebbe danneggiare l’eccellenza dei prodotti Made in Italy

Nutriscore, un pericolo reale che potrebbe danneggiare l’eccellenza dei prodotti Made in Italy
Etichetta “a semaforo” o etichetta “a batteria”?. Nell’ambito della “Farm to Fork Strategy”, una strategia pensata al fine di condurre verso un sistema alimentare più sano e sostenibile, la Commissione Europea ha voluto proporre un sistema di etichettatura nutrizionale obbligatorio armonizzato a livello comunitario, che dovrebbe essere adottato entro la fine del 2022.

Da tempo questa decisione ha comportato, all’interno dei lavori della Commissione Europea, una contrapposizione che vede, da una parte, Francia e Germania e, dall’altra, l’Italia. Uno scontro tra due tipi diversi di etichetta, ma, soprattutto, di due modi opposti di considerare gli alimenti e il loro apporto nutrizionale. Uno scontro non banale sull’adozione di un sistema che potrebbe comportare effetti importanti sull’export dei prodotti Made in Italy e, soprattutto, sulla salute dei consumatori.

La proposta francese – adottata negli ultimi due anni anche da Belgio, Germania, Spagna e Olanda – consiste nell’idealizzazione di un’etichetta, chiamata Nutri-Score, che assegna, su una scala dal verde al rosso, un colore ad ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto. Intuitivamente i cibi con semaforo “verde” sono da preferire rispetto a quelli “rossi”.

“Il Nutriscore – spiega l’eurodeputata del gruppo Socialisti e Democratici, Alessandra Moretti - parte da una premessa sbagliata: cioè quella secondo la quale ci sarebbero dei cibi buoni e dei cibi cattivi. E, tra questi cibi considerati cattivi, che verrebbero quindi marchiati in rosso, molti provengono dall’eccellenza del Made in Italy: si tratta di un approccio inefficace e ingannevole. Il sistema Nutrinform, infatti, è stato costruito – prosegue Moretti – al fine di informare il consumatore sulla qualità del prodotto alimentare, mettendolo così nelle condizioni di operare una scelta consapevole. Nutrirsi in modo equilibrato non significa rinunciare o eliminare un prodotto, bensì consumare tutti gli alimenti secondo porzioni e frequenze temporali adeguate. L’etichettatura quindi deve basarsi su una serie di evidenze scientifiche e non certo in base ad un algoritmo”.

Contro questa proposta franco-tedesca, si è schierata l’Italia – affiancata da Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lettonia e Romania, alle quali potrebbero aggiungersi presto anche la Polonia e Slovacchia – che ha proposto, invece, la NutrInform Battery, che valuta non i singoli cibi, ma si focalizza sulla loro incidenza all’interno della dieta al fine di combattere le patologie legate a scorrette abitudini alimentari. L’etichetta, nello specifico, è pensata come una batteria, dove sono indicati tutti i valori relativi ad una singola porzione consumata. All’interno del simbolo vengono indicate, quindi, le percentuali di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalle singole porzioni rispetto alla quantità giornaliera raccomandata.

“Esattamente su questo assunto si basa Nutrinform che – dichiara Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare – non classifica nessun cibo come insalubre in sé, ma ne illustra la giusta quantità da prendere giornalmente. Attraverso i numeri esposti nelle caselle e il simbolo grafico della batteria, i cittadini avranno la possibilità di capire facilmente sia la quantità di calorie e di nutrienti che assumono consumando un prodotto, sia l’incidenza di questi nutrienti sulla dieta quotidiana generale”. 

Ora la proposta italiana è stata notificata dalla Commissione Europea, mentre alla Camera dei Deputati è stata approvata all’unanimità una mozione che impegna il Governo a contrastare il sistema di etichettatura nutrizionale francese.

Ai sindacati spetta il compito di vigilare i prossimi step, che si incrociano con tutta una serie di altri dossier europei. Basti pensare alla PAC, alla difficoltà di trovare una base giuridica per vincolare i finanziamenti   agricoli   alle   condizionalità   sociali   che   da   tempo   stanno proponendo. Fino ad arrivare al TTIP, il trattato transatlantico, che se da un lato potrebbe aprire nuovi spazi per l’export del nostro Paese, dall’altro inquieta non poco per la mancanza di trasparenza che ha caratterizzato in questi anni valutazioni e negoziazioni. Si vanno ad aggiungere, infine, i dazi Usa, problematica che assieme alla gestione degli accordi bilaterali post Brexit spinge i sindacati a scongiurare qualsiasi forma di non tutela delle nostre produzioni agroalimentari sui mercati esteri.