Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero. Per Eurispes un valore da preservare

Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero. Per Eurispes un valore da preservare M. Riccardi © AGR
  L’Eurispes ha presentato lo studio “Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero. Il distretto Fermano-Maceratese nella nuova globalizzazione”, mercoledì 4 dicembre nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Santa Maria in Via, 37.
L’apertura dei lavori è stata affidata a Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, al quale si sono succeduti al microfono Gino Sabatini, Presidente della Camera di Commercio delle Marche e Siro Badon, Presidente della Assocalzaturifici Nazionale.
 
L’Italia è il primo Paese europeo per produzione: nel 2017 generava circa un terzo dei volumi complessivi della produzione continentale. Al livello mondiale, l’Italia è decima per il numero di paia di calzature prodotte e terzo esportatore mondiale per il valore della produzione, dopo Cina e Vietnam (APICCAPS-World Footwear Yearbook 2018).
 
Lo studio dell’Eurispes “Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero” analizza il settore calzaturiero italiano, il valore del Made in Italy e le conseguenze della crisi economica dell’ultimo quindicennio. In particolare, si focalizza sul distretto calzaturiero fermano-maceratese, allo scopo di analizzare lo scenario, le traiettorie di opportunità e di enucleare i punti di forza e di debolezza della base produttiva locale.
 
«Il distretto industriale è patrimonio nazionale – spiega il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara –, fonte di valore economico, sociale e culturale, unici al mondo – nella scarpa, come negli altri settori di produzione che lo alimentano. Un sistema-moda come quello italiano, capace di generare 90 miliardi di valore, con oltre 500.000 addetti sul territorio nazionale, rappresenta non solo un asset economico ma, forse soprattutto, un patrimonio sociale e culturale che non può essere sacrificato sull’altare di una globalizzazione selvaggia. È tempo che l’Italia si adoperi in Europa per favorire una politica di difesa attiva a beneficio di quanti operano nel settore calzaturiero, che si fondi su una proposta mirata di azione, sostenuta da una robusta base di evidenza empirica e chiari obiettivi economici, sociali e competitivi. Il distretto va difeso e aiutato a proiettarsi nel futuro perché oggi vince chi riesce a mantenere caratteristiche proprie di unicità e valore all’interno dei mercati globalizzati, appiattiti, uniformati e massificati».
 
Secondo il Presidente della Camera di Commercio delle Marche, Gino Sabatini: «Il lavoro dell’Eurispes è una solida piattaforma sulla quale le imprese del distretto calzaturiero fermano-maceratese possono fondare il proprio rilancio. Ma è anche una preziosa e chiara indicazione di policy nazionale per l'intero comparto, attraverso la quale Governo, imprese, parti datoriali e sociali possono, evitando inutili frammentazioni, costruire soluzioni condivise efficaci. Ciò significa ascoltare, apprendere, scegliere e indirizzare risorse per realizzare interventi di sostegno immediati, perché il settore è ormai in una situazione congiunturale critica. Da oggi, dobbiamo avere tutti il “pensiero lungo”, avere chiari i grandi obiettivi e impiegare le nostre energie per raggiungerli».
 
«Per difendere il Made in Italy calzaturiero – diha dichiarato Siro Badon, Presidente Assocalzaturifici – chiediamo che la politica e le Istituzioni si impegnino a livello europeo per far approvare una norma che introduca l’informazione di origine obbligatoria. Se il valore fondante dei nostri prodotti risiede nell’autenticità dell’eccellenza di chi lo produce, è indispensabile che in Europa venga garantita assoluta trasparenza. Questa riforma deve essere una priorità politica del Governo, perché una norma sul Made in tutela l’impresa che crea valore e sviluppo nei territori in cui è radicata la cultura del lavoro. Dobbiamo partire da questo punto per rafforzare un comparto cruciale per l’economia, costituito da eccellenze e competenze di altissimo profilo. Certo, produrre in Italia non è conveniente per via del costo del lavoro e delle troppe incertezze giuridico-normative ma è irrinunciabile. I clienti di tutto il mondo e i più importanti brand della moda infatti sono disposti a riconoscere un premium price al Made in Italy. Se non vogliamo perdere terreno sui mercati internazionali e pagarne le conseguenze con un altissimo costo in termini economici e sociali, non c’è altra scelta che far valere le ragioni del nostro patrimonio industriale in campo internazionale».
 
La produzione di calzature rappresenta il 15,1% dell’export totale del settore Tessile, Moda e Accessorio italiano (in totale circa 90 miliardi di valore).
Nel 2018, sono stati prodotti 184 milioni di paia di scarpe per un valore di 7,86 miliardi di euro. Solo il 15% del totale (27,5 milioni di paia) è destinato al mercato interno. Il valore dell’export nel 2018 ha raggiunto quasi i 10 miliardi di euro. Nonostante ciò, rispetto a dieci anni fa, il volume del venduto è diminuito dell’8,4% e il valore del 27,9% (Assocalzaturifici, 2018).
In Italia ci sono 4.500 calzaturifici che impiegano circa 75.600 addetti. Tuttavia, la crisi economica iniziata a metà degli anni Novanta, ha causato una riduzione delle aziende di quasi il 50% e un ridimensionamento della forza lavoro del 38,3%. Dal 2000 ad oggi, i volumi di produzione sono stati dimezzati (-52,7%).
L’Italia calzaturiera è caratterizzata da una vistosa frammentarietà del tessuto imprenditoriale: il 65,2% è rappresentato da microimprese che assorbono il 13,5% dei lavoratori; le piccole imprese assorbono il 54,1% degli addetti.
Le otto principali regioni a vocazione calzaturiera individuate da Assocalzaturifici sono in ordine di rilevanza: Veneto, Toscana, Lombardia, Marche, Emilia Romagna, Puglia, Piemonte, Campania.
 
L’attività di conservazione di un prodotto o di semplice cambiamento dell’aspetto esteriore del prodotto (confezionamento o apposizione di etichette, etc.) non sono sufficienti per attribuire al prodotto il luogo dove sono svolte quale origine. Per prodotti industriali ed artigianali è quindi consentito apporre il marchio d’origine Made in Italy: se tutte le parti sono fabbricate all’estero, ma vengono successivamente assemblate in Italia per ottenere il prodotto finale, oppure, se tutte le parti sono fabbricate in Italia e vengono successivamente assemblate all’estero, ma senza che le parti fabbricate in Italia non subiscano trasformazioni o lavorazioni sostanziali.
Una diversa e più articolata tutela in sede comunitaria permetterebbe di valorizzare appieno la produzione italiana rispetto a quella di altri paesi extra europei ed europei, riducendo, almeno in parte, lo svantaggio concorrenziale sul costo del lavoro.
Il concetto del 100% Made in Italy, di non facile garanzia per la sua certificazione, nel breve periodo, potrebbe indebolire l’industria e la filiera produttiva, che oggi ha dei piccoli margini di flessibilità organizzativa (esternalizzazione delle fasi di orlatura e semilavorati). Ma, certamente, nel lungo periodo e a parità di competitività del costo del lavoro, è un obiettivo da perseguire.
 
Alberto Mattiacci, Professore Ordinario di Economia d’Impresa alla Sapienza Università di Roma e Direttore scientifico della ricerca ha illustrato le linee guida e i risultati dello studio che analizza il settore calzaturiero italiano, il valore del Made in Italy e le conseguenze della crisi economica dell’ultimo quindicennio.
Sono inoltre intervenuti Paolo Bastianello, Presidente Gruppo Tecnico Confindustria su Made In, Contraffazione e Italian Sounding, Moira Canigola, Presidente Tavolo Competitività e Sviluppo Fermano-Maceratese, Marco Zullo, Parlamento europeo, Mirella Emiliozzi, Camera dei Deputati, Sergio Romagnoli, Senato della Repubblica.
Ha concluso: Giampietro Melchiorri, imprenditore e Vicepresidente Assocalzaturifici Nazionale con delega al Made in Italia. L'incontro è stato moderato dal giornalista Michele Romano.
Maurizio Riccardi

Sito web: www.maurizioriccardi.it

Fotografo, giornalista, direttore del Gruppo AGR, di cui fanno parte: l'agenzia fotografica AGR, il magazine online Agrpress.it, l'Archivio Riccardi, la sezione Audiovsivi / web e la sezione Comunicazione.
Nasce a Roma nel 1960, si può dire nella camera oscura del padre, anche lui noto fotografo della "Dolce Vita".