20 anni senza Billy Wilder

una scena di "Prima pagina" (1974) una scena di "Prima pagina" (1974)
Vent’anni fa moriva a Los Angeles il grande regista e sceneggiatore polacco - attivo negli Stati Uniti fin dagli anni Trenta -, noto per aver diretto film quali “Double Indemnity”, “Giorni perduti”, “Viale del tramonto”, “L’asso nella manica”, “Stalag 17 - L’inferno dei vivi”, “Sabrina”, “Arianna”, “L’appartamento”, “Non per soldi ma per denaro”, “Prima pagina” e molti altri.

Nato nel giugno 1906 a Sucha Beskidzka (oggi cittadina della Polonia sud occidentale, ma all’epoca piccolo avamposto nord orientale dell’allora Impero austro-ungarico), giornalista a Vienna - dove prova ad intervistare Sigmund Freud, il quale gli sbatté la porta in faccia - e in seguito a Berlino, pigro studente di Giurisprudenza all’Università della capitale tedesca, “ghostwriter” occasionale, soggettista e sceneggiatore, abbandona la Germania nel ’33 - con l’arrivo di Hitler al potere - e si trasferisce prima in Francia, dove rimarrà per circa un anno, e poi negli Stati Uniti.

Pare che il suo incontro con il mondo del cinema sia avvenuto in maniera del tutto casuale. Si narra che nel ’27 il giovane Billy Wilder avesse perso una grossa somma in marchi giocando a carte con il produttore J. Pasternak e che quest’ultimo, per farseli restituire, lo abbia costretto a collaborare ad una sceneggiatura.

In quella Berlino di fine anni Venti, in cui già si cominciavano a percepire le prime avvisaglie di scricchiolio dell’allora Repubblica di Weimar (cui seguirà, come è tristemente noto, l’avvento del nazismo) molti fra gli uomini che in seguito contribuiranno a formare il cinema classico hollywoodiano degli anni Trenta e Quaranta vengono “catturati” dal mondo del cinema per vari “scherzi del destino”. Come è noto, si trasferiranno quasi tutti negli Stati Uniti (in molti, con un discorso volutamente provocatorio, hanno scritto che, in un certo qual modo, si potrebbe affermare che il vero creatore del cinema noir americano degli anni Quaranta e Cinquanta fu Hitler, in quanto, se non ci fosse stato l’avvento del nazismo in Germania - avvento di cui, ovviamente, il mondo avrebbe fatto volentieri a meno – registi come Fritz Lang, Robert Siodmak, Fred Zinnemann e molti altri - fra i quali lo stesso Billy Wilder -, verosimilmente, non avrebbero mai abbandonato l’Europa alla volta di Hollywood) trasferendo nel cinema hollywoodiano - non solo in quello più ricco, ma anche in quello più “commerciale” - i segni inconfondibili dei grandi conflitti etici e spirituali che affondano le radici nella cultura tedesca e mitteleuropea. Alcuni in forme dolorosamente sofferte e dichiarate; altri in forme trasfigurate, filtrate, camuffate.

Billy Wilder appartiene senz’altro al secondo gruppo e forse proprio per questo motivo la sua produzione cinematografica continua ancora oggi a sfuggire a qualunque tentativo di classificazione e di organica sistemazione critica. In un film il regista a volte si colloca in una posizione opposta in confronto a quella in cui si era collocato nel film precedente, raccontando e “contraddicendo” in un continuo gioco di ribaltamenti di fronte.

A Berlino scrive (insieme a Fred Zinnemann e Edgar G. Ulmer) il soggetto e la sceneggiatura di Menschen am Sonntag ( Uomini di domenica - 1930) di Curt e Robert Siodmak, Edgar G. Ulmer e Frad Zinnemann, affresco della grande città e dei suoi abitanti.

Dopodiché scrive ancora per R. Siodmak - Der Mann, der seinen Morder sucht (L’uomo che cerca il suo assassino - 1931) e collabora alla sceneggiatura di Emil und die Detektive (La terribile armata - 1931) di G. Lamprecht, misurandosi con un genere, il poliziesco, per lui nuovo. In seguito scrive altri testi - Happy Ever After - 1932 - di Paul Martin e Robert Stevenson, Where is the Lady? (1932) di Victor Hanbury e Ladislao Vajda, Un peu d’amour (1932) di Hans Steinhoff, Der Sieger (1932) di Hans Hinrich e P. Martin, Ein Blonder Traum (Sogno biondo - 1932) di P. Martin, Ein Kind der Strabe (Scampolo - 1932) di H. Steinhoff, (Nell’azzurro del cielo - 1932) di Victor Janson, Madame wunscht keine Kinder (1933) Das Blue vom Himmel di H. Steinhoff, Was Fraumen traumen (1933) di Géza von Bolvary, Madame ne veut pas d’enfants (1933) di Constantin Landau e H. Steinhoff, Adorable (La principessa innamorata - 1933) di William Dieterle -, fra cui alcuni di tono operettistico viennese.

Nell’estate del ’33, mentre si trova seduto ad un tavolo di un caffè, è testimone di un pestaggio di un uomo inerme da parte di una squadra nazista.  Comprende che in Germania il vento sta cambiando in maniera drammatica, fa le valige e si trasferisce in Francia, dove nell’autunno dello stesso anno collabora con Alexander Esway per la regia di Mauvaise graine (Amore che redime, 1934).

Tale esperienza non lo entusiasma e, nel gennaio del ’34, dopo circa sei mesi in Francia, decide di trasferirsi negli Stati Uniti. Ha ventotto anni e parla pochissimo l’inglese.

Ciononostante ad Hollywood comincia a lavorare per gli studios scrivendo molti soggetti e sceneggiature in serie - One Exciting Adventure (1934) di Ernst L. Frank, Music in the Air (Musica nell’aria - 1934) di Joel May, Emil and the Detectives (1935) di Milton Rosmer, Under Pressure (Sotto pressione - 1935) di Raoul Walsh, The Lottery Lover (1935) di Wilhelm Thiele, Champagne Waltz (Valzer Champagne - 1937) di A. Edward Sutherland - fino a quando non scrive (insieme a Charles Brackett) la sceneggiatura di Bluebeard’s Eighth Wife (L’ottava moglie di Barbablù - 1938) di Ernst Lubitsch, con Gary Cooper, Claudette Colbert, Edward Everett Horton e David Niven.

L’anno seguente scrive (di nuovo a quattro mani con C. Brackett, con il quale stabilirà un sodalizio artistico che proseguirà per oltre un decennio) la sceneggiatura del celebre Ninotchka (1939) di E. Lubtsch, con Greta Garbo e Melvyn Douglas. Si tratta del momento di svolta della sua carriera hollywoodiana. La metamorfosi del personaggio interpretato da G. Garbo - al suo penultimo film prima di Non tradirmi con me (1941) di George Cukor e del suo ritiro dal cinema a soli trentasei anni - da ieratico e freddo quale è sempre stato a quello brillante del commissario “bolscevico” Ninotchka è da applausi.

Dopo aver scritto Arise, My Love (Arrivederci in Francia - 1940)  di Mitchell Leisen, con Ray Milland e Claudette Colbert, ed il brillante Ball of Fire (Colpo di fulmine - 1941) di Howard Hawks, con Barbara Stanwyck, Gary Cooper, Dana Andrews e Dan Duryea, esordisce alla regia con The Major and the Minor (Frutto proibito - 1942), con Ray Milland e Ginger Rogers

Dopo Five Graves to Cairo (I cinque segreti del deserto - 1943), con Franchot Tone, Anne Baxter e Erich von Stroheim, dirige Double Indemnity (in Italia tradotto come La fiamma del peccato - 1944), con Barbara Stanwyck, Fred MacMurray e Edward G. Robinson. Uno fra i suoi capolavori, tratto da un libro di James Cain (l’autore del celebre Il postino suona sempre due volte, che verrà portato al cinema nel 1946 con l’omonimo film di Tay Garnett con John Garfield e Lana Turner e trentacinque anni dopo, nel 1981, con il film di Bob Rafelson con Jack Nicholson e Jessica Lange), e di cui scrive anche la sceneggiatura insieme al grande Raymond Chandler (il creatore del detective Philip Marlowe). Si tratta di un film fondamentale nella storia del noir. Un film che, in un certo qual modo,  finirà col diventare una sorta di “punto di non ritorno” per un genere cinematografico, il noir, che, nei dieci/dodici anni successivi vivrà la sua stagione d’oro.

Il film successivo, The Lost Weekend (Giorni perduti - 1945), con Ray Milland (Oscar come Miglior Attore Protagonista) e Jane Wyman, è un’opera decisamente drammatica, una coraggiosa incursione nella piaga dell’alcolismo realizzata in un’epoca in cui, nella maggior parte dei film, quello dell’ubriacone era un personaggio comico secondario.

Wilder si riporta sulla via del genere brillante con The Emperor Waltz (Il valzer dell’imperatore- 1948), con Bing Crosby e Joan Fontaine, con la commedia giallo-rosa A Foreigh Affair (Scandalo internazionale- 1948), con Jean Arthur, Marlene Dietrich e John Lund, e con la sceneggiatura di Venere e il professore (1948) di Howard Hawks, con Danny Kaye e Virginia Mayo, remake in versione musical del già citato Colpo di fulmine.

Appaiono già chiare le tracce di quello che in seguito verrà definito da alcuni storici del cinema come “cinema del travestimento” e da altri come “cinema travestito”. Con un’alternanza di farsa e tragedia, spontaneità e manipolazione, innocenza e cinismo Billy Wilder userà il cinema come una sorta di enorme “romanzo visivo”, nascondendo al suo interno alcune fra le grandi figure del “moderno”. La dialettica delle inversioni, il continuo gioco fondato sull’antinomia fra essere ed apparire. Con occhio impietoso scaverà a fondo nei traumi della società americana, mascherandoli a volte dietro il velo liberatorio delle situation comedy. E diventerà presto un maestro di quella cosiddetta “regia invisibile” che sarà una caratteristica peculiare del cinema hollywoodiano classico, filmando sia il “dentro” sia il “fuori” del cinema.

Un esempio paradigmatico è rappresentato dal celebre Sunset Boulevard (Viale del tramonto – 1950), con Gloria Swanson, William Holden, Erich von Stroheim e Nancy Olson,  in cui mette in scena un morto  che racconta in flashback i retroscena del suo assassinio. Ma soprattutto il regista affonda il coltello in quel simulacro di illusoria eternità che è la cosiddetta “fabbrica dei sogni” hollywoodiana, in una sorta di evocativo “redde rationem”, facendo reincontrare sul set Gloria Swanson ed il regista Erich von Stroheim per la prima volta dopo oltre vent’anni - dopo la rottura seguita al fallimento di Queen Kelly (1928) -, lei nel ruolo di una matura ex diva ormai completamente invasata e sciroccata, lui in quelli dell’ex marito babbeo ancora innamorato, ora “retrocesso” a maggiordomo.

Il film che segue, Ace in the Hole o The Big Carnival (L’asso nella manica - 1951), con Kirk Douglas, Jan Sterling, Robert Arthur e Richard Benedict, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, appare come un impietoso affondo nei confronti del mitico “sogno americano”. Il giornalista (interpretato da un superlativo K. Douglas) che gioca con la vita di un minatore rimasto sepolto nel crollo di alcune pareti pur di costruire un evento mediatico risulta del tutto insopportabile per una critica che monterà l’opinione pubblica contro il regista. Il film rischia di non esser distribuito (arriverà nelle sale cinematografiche americane solo due anni dopo, nel ’53) e Billy Wilder arriva ad un passo dall’esser accusato di atteggiamento “antiamericano” in piena epoca maccartista). Oggi L’asso nella manica viene meritatamente considerato - insieme a Quarto potere (1941) di Orson Welles, L’ultima minaccia (1952) di Richard Brooks, Un volto nella folla (1957) di Elia Kazan, Prima pagina (1974), diretto dallo stesso B. Wilder, Quinto potere (1976) di Sidney Lumet,  Tutti gli uomini del Presidente (1976) di Alan J. Pakula, Sindrome cinese (1979) di James Bridges, Diritto di cronaca (1981) di Sydney Pollack, Sotto tiro (1983) di Roger Spottiswoode, Broadcast News - Dentro la notizia (1987) di James L. Brooks - come uno fra i migliori film americani sul giornalismo mai realizzati.

Due anni dopo, anche per via del suo profondo spirito antinazista, il regista realizza Stalag 17 - L’inferno dei vivi (1953), ambientato in un campo di concentramento tedesco ed interpretato da William Holden (Oscar come Miglior Attore Protagonista), prima di tornare alla commedia con Sabrina (1954), in cui dirige una giovane Audrey Hepburn (fresca di Oscar come Miglior Attrice Protagonista per Vacanze romane di William Wyler), Humphrey Bogart, w. Holden e Martha Hyer.

Seguono la commedia The Seven Year Itch (Quando la moglie è in vacanza - 1955), con Marilyn Monroe, Tom Ewell e Evelyn Keyes, il giallo Witness For the Prosecution (Testimone d’accusa - 1957), tratto da un racconto di Agatha Christie, interpretato da Charles Laughton, Marlene Dietrich, Tyrone Power, Elsa Lanchester e John Williams,  e considerato - insieme a La parola ai giurati (1957) di Sidney Lumet, Anatomia di un omicidio (1959) di Otto Preminger,  Il buio oltre la siepe (1962) di Robert Mulligan e Il verdetto (1982) di S. Lumet) come uno fra i migliori courtroom dramas americani mai girati, The Spirit of Saint-Louis (L’aquila solitaria - 1957), con James Stewart, rievocazione della grande impresa (la prima trasvolata oceanica da New York a Parigi) compiuta da Charles Lindbergh in trentatré ore e mezza di volo “en solitaire” nel maggio 1927, le commedie (Love in the Afternoon Arianna - 1957), con Audrey Hepburn, Gary Cooper e Maurice Chevalier, e Some Like it Hot (A qualcuno piace caldo - 1959), con Jack Lemmon, Tony Curtis, Marilyn Monroe e George Raft.

Con The Apartment (L’appartamento - 1960), con Jack Lemmon, Shirley MacLaine, Fred MacMurray e Jack Krushen, nella carriera di Billy Wilder arrivano cinque premi Oscar (fra cui quello come Miglior Regia). Grande fusione fra commedia e dramma, il film è un capolavoro dai toni farseschi e, nello stesso tempo, dal gusto amaro. Jack Lemmon è superlativo nel ruolo dell’impiegato delle assicurazioni che, per fare una rapida carriera, mette il suo appartamento a disposizione di alcuni alti dirigenti per le loro avventure extraconiugali. Dimesso e fondamentalmente succube, alzerà la testa ed avrà un sussulto di dignità solo quando scoprirà che la ragazza da lui amata in segreto (interpretata da una giovane e altrettanto superlativa Shirley MacLaine) è la “preda” del suo direttore.

La coppia Jack Lemmon-Shirley MacLaine sarà brillante anche tre anni dopo in Irma la Douce (Irma la dolce - 1963), romanzo d’amore fra uno zelante agente di polizia e una giovane prostituta ambientato in una Parigi ricostruita dallo scenografo Alexandre Trauer, già vincitore di uno fra gli Oscar de L’appartamento.

Due anni prima di Irma la dolce B. Wilder aveva diretto un’indiavolata satira del comunismo sovietico con One, Two, Three (Uno, due, tre!  - 1961), con James Cagney (al suo penultimo film),  in cui non aveva risparmiato bordate sarcastiche anche nei confronti del capitalismo rampante.

Nel ’66 dirige The Fortune Cookie (Non per soldi ma per denaro), in cui arriva sul grande schermo la celebre coppia Jack Lemmon-Walter Matthau, che tornerà due anni dopo in La strana coppia (1968) di Gene Saks, tratto dall’omonima commedia teatrale di Neal Simon e, nei trent’anni successivi, in altri sei film.

Nel ’70 dirige The Private Life of Sherlock Holmes (La vita privata di Sherlock Holmes), con Robert Stephens, Colin Blakely, Geneviève Page e Clive Reville, seguito, due anni dopo, dalla commedia Avanti! (in Italia tradotto come Che cosa è successo fra mio padre e tua madre? - 1972), girata ad Ischia ed interpretata da Jack Lemmon, Juliet Mills, Clive Revill, Edward Andrews, Gianfranco Barra, Antonino Faà di Bruno, Franco Angrisano, Franco Acampora e Pippo Franco.

La coppia Jack Lemmon-Walter Matthau verrà riproposta nel feroce sberleffo contro la stampa americana del già citato The Front Page (Prima pagina - 1974), con una giovane Susan Sarandon ad inizio carriera, ed infine nella commedia Buddy Buddy (1981), suo ultimo film - remake del francese Il rompiballe (1973) di Edouard Molinaro -  preceduto dal malinconico e crepuscolare Fedora (1978), con un maturo William Holden, Marthe Keller, Hildegard Knef, José Ferrer, Mario Adorf, Henry Fonda e Michael York. Il film  rappresenta una sorta di “testamento” e, in un certo qual modo, rievoca le aspre atmosfere di Viale del tramonto.

Nonostante una volontà di rimanere attivo ancora intatta in età avanzata, dopo un paio di progetti non andati in porto, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, non riuscirà trovar finanziamenti per girare altri film e si ritirerà a vita privata

Fra gli altri film da lui scritti ricordiamo That Certain Age (1938) di Edward Ludwig, con Deanna Durbin, Melvyn Douglas e Jackie Cooper, Midnight (La signora di mezzanotte - 1939) di Mitchell Leisen, con Claudette Colbert, Don Amech, John Barrymore e Mary Astor, What a Life (1939) di Theodore Reed, con Jackie Cooper e Betty Field, Rhythm on the River (1940) di Victor Schertzinger, con Bing Crosby e Mary Martin, Hold Back the Dawn (La porta d’oro  - 1941) di M. Leisen, con Charles Boyer, Olivia de Havilland e Paulette Goddard, The Bishop’s Wife (La moglie del vescovo - 1947) di Henry Koster, con Cary Grant, Loretta Young e David Niven, Ocean’s Eleven (Colpo grosso - 1960) di Lewis Milestone, con Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr, Peter Lawford, Angie Dickinson, Richard Benedict, Shirley MacLaine e Henry Silva, ed il comico e sgangherato Casino Royale (James Bond 007 - Casino Royale - 1967) di Val Guest, Ken Hughes, John Huston, Joseph McGrath e Robert Parrish.

Maestro di commedie esilaranti dal tocco leggero e nello stesso tempo sottilmente pungente, autore di amare e corrosive storie drammatiche, in grado di fondere commedia e dramma in un infuso dal gusto agrodolce, Billy Wilder ha lasciato un segno indelebile nella storia di Hollywood (nell’arco di circa cinquant’anni di carriera, ha diretto venticinque film e scritto oltre sessanta sceneggiature) e, in generale, dell’intera storia del cinema.

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.