25 anni senza Krzysztof Kieslowski, regista di La doppia vita di Veronica e della Trilogia dei Colori

«Se faccio film sull'amore, nel senso più lato del termine, è perché non esiste per me una cosa più importante. L'amore, se lo si intende come ciò che spinge verso qualcosa, governa completamente il senso della nostra vita. E del resto, tutti i libri e tutti i film parlano d'amore. O dell'assenza dell'amore, che è l'altra faccia dell'amore» (K. Kieslowski)
«Quello che voglio mostrare è che i problemi non sono mai pratici o politici. I veri problemi sono sempre dentro di noi»
«La tragedia è lo scontro tra la sfera mortale e quella divina. Nella nostra società [...] non esistono più tragedie ma solo grandi drammi».
Nato a Varsavia nel giugno 1941, dopo il diploma (1968) presso la Scuola Superiore di Cinema di Lodz (che all’epoca aveva fama e prestigio internazionale) si forma come documentarista lavorando sia per il cinema sia per la televisione.
Un suo documentario del ’71 sulla repressione violenta dello sciopero di Danzica (Robotnicy 1971: Nic o nas bez nas - Lavoratori 1971: Niente su di noi senza noi) fu sequestrato dalla polizia che aveva l’obiettivo di identificare i partecipanti. Il regista ne rimarrà negativamente colpito, sentendosi quasi come un “traditore”.
Per i lungometraggi il suo esordio dietro alla macchina da presa avviene con Personel (Il personale - 1975), a cui seguono altri titoli interessanti (Spokoj - La tranquillità, 1976 -, Blizna - La cicatrice, 1976 - Amator - Il cineamatore, 1979 -, Krotki dzien pracy - Una breve giornata di lavoro, 1981) - fino a Przypadek (Destino cieco - 1982), in cui la sua attenzione per il realismo viene sostituita da un gioco metafisico e combinatorio sulla forza delle scelte del singolo.
Alla fine degli anni Ottanta, insieme all’avvocato polacco Krzysztof Piesiewicz, con il quale ha collaborato nel corso di quasi tutta la sua carriera cinematografica, scrive Krotki film o zabijaniu (Breve film sull’uccidere - 1987) e Krotki film o milosci (Non desiderare la donna d’altri - 1989) che, leggermente modificati in confronto alla versione cinematografica, diventeranno rispettivamente il quinto ed il sesto episodio della serie Decalogo, formata da dieci mediometraggi televisivi (di circa un’ora ciascuno) che ruotano attorno ai dieci comandamenti, ed in cui, da una prospettiva laica, racconta piccolo apologhi morali dove il “peccato” e la “colpa” non vengono mai giudicati, bensì compresi ed analizzati in modo approfondito in una dimensione quasi entomologica.
Un altro suo collaboratore abituale sarà il compositore e musicista Zbigniew Preisner, il quale, nel nono capitolo del Decalogo, in La doppia vita di Veronica e nella “Trilogia dei Colori” utilizzerà il nome d’arte olandese di Van den Budenmayer).
Nel ’91 realizza l’intenso La double vie de Véronique/Podwojne zycie Weroniki (La doppia vita di Veronica), con Irene Jacob (premiata al Festival di Cannes come Miglior Attrice Protagonista). Un’opera molto delicata sul destino e sull’ impercettibilità del caso, tematiche affrontate con una grande ricchezza di dettagli, sfumature, sottigliezze ed introspezione psicologica.
Due anni dopo, con Trois couleurs: Bleu (Tre colori - Film blu - 1993 -, con Juliette Binoche), inaugura la cosiddetta “Trilogia dei Colori” (che proseguirà con Trois couleurs: Blanche - Tre colori - Film bianco - 1994 -, con Julie Delpy e Zbigniew Zamachowski, e Trois couleurs: Rouge - Tre colori - Film rosso - 1994 -, con Irene Jacob e Jean-Louis Trintignant) dedicata ai principi di libertà, uguaglianza e fratellanza (il celebre «liberté, égalité, fraternité») ripresi dalla Rivoluzione francese.
In questi tre film Kieslowski rafforza la sua poetica cinematografica, in cui il razionalismo laico si focalizza sulla crisi dei valori morali e sulla necessità di scelte che siano in grado di indirizzare in modo costruttivo la nostra vita. Il suo sguardo fonde la freddezza con la partecipazione dei toni espressivi, in modo tale che l’anatomia dell’animo umano, sempre incrociata ad una meccanica del caso, porta alla triste ammissione di una inesorabile infelicità.
Stanley Kubrick, il quale aveva grande ammirazione nei confronti del regista polacco, dichiarò: «Kieslowski e Piesiewicz hanno la rarissima capacità di drammatizzare le proprie idee piuttosto che semplicemente raccontarle. [...] Riescono in tale compito con una tale abbagliante abilità, che non riesci a renderti coscientemente conto delle idee che si materializzano nella mente fino a quando queste non hanno già raggiunto il profondo del tuo cuore».
K. Kieslowski muore a Varsavia nel marzo 1996 a causa di un attacco di cuore. Aveva cinquantaquattro anni.
Alessandro Poggiani
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