40 anni senza Howard Hawks

una scena de "Il grande sonno" una scena de "Il grande sonno"
Quarant’anni fa, nel dicembre 1977 moriva a Palm Springs - in California - il grande regista americano, noto per commedie (“Susanna”, “La signora del venerdì”, “Colpo di fulmine”), noir (“Il grande sonno” e western (”Il fiume rosso”, “Il grande cielo”, “Un dollaro d’onore”, “El Dorado”, “Rio Lobo”).

Nato a Goshen - in Indiana - nel 1896, dopo aver frequentato il college a Pasadena e la Cornell University di New York, nel 1917 si arruola come pilota di aerei e combatte in Europa durante la Prima guerra mondiale. Nel 1920 lascia l’esercito con il grado di tenente, trova lavoro in un’officina aeronautica e non smette di dedicarsi alla sua passione per il volo. Dopo aver acquistato una certa notorietà battendo una serie di record di velocità, accetta un’offerta della Paramount e comincia la sua carriera nel mondo del cinema come addetto all’accessoristica, poi come soggettista, sceneggiatore ed aiuto-regista.

Incontra il suo primo successo con Capitan Barbablù (1928), bissandolo due anni dopo con La squadriglia dell’aurora (1930), che segna un punto fondamentale nella rappresentazione di una battaglia aerea - realizzata con un montaggio calibrato al millimetro - e con cui il regista non mostra alcuna incertezza nel passaggio dal cinema muto a quello sonoro. A partire dall’inizio degli anni Trenta non ci sarà genere in cui non lascerà l’inconfondibile segno del suo stile e della sua sofisticata perizia registica.

Con Scarface (1932) affronta l’allora neonato gangster movie, imponendo agli attori una tecnica di recitazione quasi da film muto e scolpendo i personaggi in una dimensione tragica che fa filtrare le patologie e le ambiguità della deriva delinquenziale.

Con Ventesimo secolo (1934) si avventura nella cosiddetta “screwball comedy” rivoluzionandone l’impianto, collocando in primo piano la brillante recitazione degli attori protagonisti ed ottenendo un effetto trascinante, anche grazie alla sceneggiatura di Ben Hecht e Charles MacArthur (autori anche dell’omonimo testo teatrale da cui il film è tratto).

Quattro anni dopo, con Susanna! (1938), realizza quello che viene considerato quasi all’unanimità come uno fra i capolavori della commedia comico-brillante dell’epoca - la già citata screwball comedy -, con un fuoco di fila di situazioni esilaranti e stravaganti, di dialoghi stralunati al limite del surreale, in cui, a dominare la scena sono una Katharine Hepburn scioccata più che mai ed un lunare e disorientato Cary Grant, entrambi stimolati da una regia che arriva a sfiorare la perfezione.

Nel frattempo aveva diretto il romantico La costa dei barbari (1935), Brume (1936), commedia amara ambientata nel mondo dell’aviazione, ed il bellico Le vie della gloria (1936), che si svolge in Francia all’epoca della Prima guerra mondiale. Comincia così ad affiorare quello che sarà uno fra i temi di fondo del cinema di Howard Hawks, ovvero quello dell’amicizia virile e dello scontro fra i caratteri, in cui vengono in primo piano gli individui che agiscono volontariamente e consapevolmente nella cornice di un contesto sociale che non prevarica le singole personalità.

Questi tratti si accentueranno ulteriormente nei bellici Il sergente York (1941), con cui ottiene una Nomination all’Oscar per la Miglior Regia, e Arcipelago in fiamme (1943). Se il primo, che si rifà ad una storia vera, risulta come una sorta di apologia delle qualità di un americano qualunque che diventa un eroe della Prima guerra mondiale facendo prigionieri oltre centotrenta nemici, il secondo è un potente film il cui vero protagonista, di fatto, è un bombardiere impiegato nelle missioni sul Pacifico durante la Seconda guerra mondiale, e a bordo di cui l’equipaggio, a poco a poco, scopre i valori di civiltà che regolano gli impulsi dell’individuo.

Tuttavia, Howard Hawks non abbandona la commedia, dirigendo la commedia Colpo di fulmine (1941), in cui una bravissima Barbara Stanwyck, cinica spogliarellista amica di un gangster che perde la testa per un timido ed imbranato glottologo (interpretato da Gary Cooper). La perfetta regia sottolinea una paradossale inversione (il personaggio di B. Stanwyck, in un certo qual modo, è una sorta di Biancaneve alla rovescia), dovuta anche alla sceneggiatura di Billy Wilder (già sceneggiatore di film quali L’ottava moglie di Barbablù - 1938 - e Ninotchka - 1939 -, entrambi diretti da Ernst Lubitsch, e Arrivederci in Francia - 1940 - di Mitchell Leisen e che, l’anno seguente esordirà alla regia con Frutto proibito - 1942), autore anche del soggetto. Sette anni dopo, lo stesso Howard Hawks ne dirigerà un remake, ovvero Venere e il professore (1948), interpretato da Virginia Mayo e Danny Kaye.

L’anno seguente realizza un altro film brillante, Ero uno sposo di guerra (1949), un congegno di brucianti battute e di situazioni esilaranti che si rivela una caustica ed amara satira del militarismo.

Nel frattempo era tornato anche al noir, dirigendo l’inquietante Il grande sonno (1946), scritto da William Faulkner, interpretato da Humphrey Bogart e Lauren Bacall, e che rappresenta una sorta di modello al venire per l’intero genere (è considerato quasi all’unanimità - insieme a Il mistero del falco di John Huston, Double Indemnity di Billy Wilder, Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett e Out of the Past di Jacques Tourneur - come uno fra i miglior noir americani degli anni Quaranta). L’enigma della trama, per quanto inestricabile (perfino il grande Raymond Chandler, autore del libro omonimo da cui il film è tratto, dichiarò di non esser riuscito a risolverlo), non riesce a mascherare l’atmosfera malsana, la cupezza e lo “spleen” esistenziale da cui tutti i personaggi sono attanagliati.

Tre anni avanti aveva messo mano (dirigendo il primo quarto d’ora) anche ad un western a dir poco insolito, ovvero Il mio corpo ti scalderà (1943), un’opera del produttore Howard Hughes, che aveva provato a dirigerlo di persona per lanciare l’allora ventunenne Jane Russell. Negli anni successivi proprio il western risuonerà in modo particolare nelle sue corde. Fra l’hemingwayano Acque del Sud (1944), con Humphrey Bogart e Lauren Bacall nel primo fra i quattro film in cui lavoreranno insieme (gli altri tre saranno il già citato Il grande sonno, La fuga di Delmer Daves e L’isola di corallo di John Huston), e un’altro film brillante (Il magnifico scherzo - 1952) realizza uno fra i capolavori del western anni Quaranta, ovvero Il fiume rosso (1948), in cui l’epica del genere si fonda drasticamente sul conflitto fra due forti individualità (i bravissimi John Wayne e Montgomery Clift), lasciando sullo sfondo l’architettura sociale della frontiera ed i suoi canoni, sovente piuttosto inclini a fare un’apologia del cosiddetto “sogno americano”. Al contrario il cinema di Howard Hawks si configura come una sofisticata denuncia dell’appiattimento della società americana, che tende a schiacciare la libera espressione del singolo individuo in un conformismo e in una omologazione generalizzata.

Nel successivo Il grande cielo (1952), tratto dall’omonimo libro di A. B. Guthrie, ed interpretato da Kirk Douglas, Dewey Martin, Elizabeth Threatt e Arthur Hunnicutt smonta invece l’ideologia “muscolare” e fondamentalmente razzista del pionierismo mettendo in scena la storia d’amore fra un trapper ed una giovane pellerossa.

In seguito, in Un dollaro d’onore (1959), interpretato da John Wayne, Dean Martin, Angie Dickinson, Ricky Nelson, Walter Brennan e John Russell, introduce il gusto del crepuscolo in quello che è stato il genere principe di Hollywood, mettendone in scena tutti i codici classici, abbondantemente arricchiti con un pungente tocco di ironia.

Nello stesso tempo non smette di dedicarsi ai generi più differenti. La commedia (con Gli uomini preferiscono le bionde - 1953 - e lo stravagante Lo sport preferito dall’uomo - 1964), la fantascienza (La “Cosa” da un altro mondo - 1951 -, diretto insieme a Christian Nyby, il montatore dei suoi Acque del Sud, Il grande sonno, Il fiume rosso e Il grande cielo), il mitologico (La regina delle piramidi - 1955), l’avventuroso (Hatari! - 1962).

Torna alla frontiera western con El Dorado (1967), interpretato da John Wayne, Robert Mitchum, James Caan, Arthur Hunnicut, Charlene Holt e Michèle Carey, un altro sguardo ironico-malinconico sul tramonto del topos per eccellenza della mitologia americana, con i protagonisti (John Wayne e Robert Mitchum, sciamannati più che mai) non più giovani ed acciaccati in lotta contro l’alcolismo, le stampelle, la velocità e la mira non più infallibili.

Il suo ultimo film, Rio Lobo (1970), interpretato da John Wayne, Jennifer O’ Neil, Jorge Rivero, Christopher Mitchum e Victor French, sarà di nuovo un western e completerà la “trilogia” avviata con Un dollaro d’onore e proseguita con El Dorado.

Fra gli altri film ricordiamo i muti Bolidi in corsa (1926), pellicola andata perduta, Le disgrazie di Adamo (1926), Amanti per burla (1927), Passione di principe (1927), Oasi dell’amore (1928), La via delle stelle (1928) e L’affare Manderson (1929), ed i sonori Codice penale (1931), L’urlo della folla (1932), Le tigri del Pacifico (1932), Rivalità eroica (1933), Avventurieri dell’aria (1939), La signora del venerdì (1940), Il ratto di Capo Rosso (1952), episodio de La giostra umana (gli altri quattro furono diretti da Henry Koster, Henry Hathaway, Jean Negulesco ed Henry King), Linea rossa 7000 (1965).

Fra i film a cui collaborò come sceneggiatore, Il castigo (1927, conosciuto anche con il titolo Le notti di Chicago) di Josef von Sternberg, Lo schiaffo (1932) di Victor Fleming, L’ebbrezza dell’oro (1936) di James Cruze, Capitani coraggiosi (1937), Arditi dell’aria (1938) ed il celeberrimo Via col vento (1939), tutti e tre diretti da Victor Fleming, Gunga Din (1939) di George Stevens, Corvetta K-225 (1943) di Richard Rosson      

Nel ’75, due anni prima della sua scomparsa (avvenuta a causa delle ferite riportate dopo un incidente in motocicletta), riceve un meritato Oscar alla Carriera.

Howard Hawks è stato un cineasta dal cifra raffinata e dal tocco inconfondibile che, sia pur nelle costrizioni piuttosto stereotipate del cosiddetto “star system” e delle produzioni a grande budget, lo staccano dalla medietà del modello hollywoodiano e ne fanno ancora oggi un maestro. Il suo stile incisivo ed ironico non si ferma al genere brillante, ma esplora i generi più differenti, dal noir al film di guerra, dal western al film giudiziario. Tale abilità nel destreggiarsi con disinvoltura nei differeti stili e linguaggi cinematografici per molti anni lo privò dell'identità di “autore” e lo relegò nella schiera degli onesti professionisti di Hollywood. Solo all’inizio degli anni Sessanta i critici cinematografici francesi dei «Cahiers du Cinema» riscoprirono il talento del regista, definirono la sua tecnica registica «invisibile» e la sua cinepresa «a livello dello sguardo»  - proprio per via della sua capacità di non far avvertire la presenza della mano di un autore - e identificarono alcuni suoi temi e motivi caratteristici e ricorrenti: la lotta fra i sessi, la determinazione, la velocità dell’azione, la stretta collaborazione fra amici, la collocazione dell'eroe in situazioni di pericolo o in situazioni limite.

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.

Il Giro, una storia d'Italia

Fotonews

Il Giro, una storia d'Italia - Inaugurazione