A Venezia 80 arriva “Scusa Italia”, docufilm su lavoro, legalità e riscatto sociale

C’è chi è emigrato dalla Calabria in Svizzera, per poi recuperare un antico mulino ad acqua nella propria terra di origine e trasformarlo in itinerario naturalistico e culturale: un vero e proprio “luogo del cuore” a disposizione della collettività. Poi c’è chi lavora in una cooperativa nel casertano, in un terreno confiscato alla camorra, per dare vita a percorsi di riscatto e progetti di economia reale in cui “il lavoro è al servizio della persona, e non il contrario”. Si racconta inoltre di una cascina con tanto di stalla, caseificio, panificio, un’impresa che è molto più di un’azienda, essendo cresciuta nel tempo includendo persone emarginate, magari perché disabili o perché provenienti da “una strada sbagliata”, come ex detenuti o minori stranieri non accompagnati.
No, non si tratta di una favola. È uno spaccato di Paese reale raccontato nelle storie di “Scusa Italia”, docufilm di Giovanni Panozzo che colpisce al cuore con cinque episodi legati dal fil rouge del lavoro come riscatto sociale, recupero ambientale e affermazione della legalità. L’opera non a caso si apre con le immagini dell’albero di Via d’Amelio, piantato in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime delle mafie. A spiegare il perché è lo stesso regista: “Il film nasce proprio da un viaggio tra due estremi, Palermo e Lecco, che ha portato una margotta dell’ulivo di Via d’Amelio fino a una scuola di Lecco, dove è stata ripiantata”. Si tratta della “staffetta della legalità” realizzata dalla Fai-Cisl, assieme alla famiglia Borsellino e a rappresentanti delle istituzioni e del mondo del lavoro, facendo tappa tra l’altro in Vaticano con la benedizione, da parte di Papa Francesco, della piantina rigenerata.
“Il viaggio – afferma Panozzo – ha rappresentato l’occasione per incontrare persone e comunità che vogliono migliorare il nostro Paese attraverso relazioni generative, attraverso il loro impegno contro la mentalità mafiosa, mai sufficientemente abbandonata e rigettata da altri, attraverso il pentimento di una vita di malaffari e di guadagni illeciti, oppure cercando di riemergere dal baratro della schiavitù in cui si è caduti, come alcuni migranti del ghetto di Borgo Tre Titoli, nel foggiano”.
Argomento, quest’ultimo, che chiude il film con l’episodio “Made in Italy”, racconto di migranti residenti in una delle tante baraccopoli d’Italia, tutti impiegati in agricoltura, in un territorio in cui si produce il 30% del pomodoro italiano ma l’80% dei lavoratori sono immigrati che vivono in condizioni disperate. Persone che tengono in piedi un pezzo fondamentale del Pil italiano eppure private dei più elementari diritti e strumenti di sussistenza. “Persone – spiega Panozzo – che nel rivelare il loro contributo e nel chiederci aiuto per migliorare la loro situazione di invisibili, antepongono sempre la frase ‘scusa Italia’, da cui prende spunto il titolo dell’opera”. Un intercalare che pronunciato da chi è costretto ad una vita calpestata provoca interrogativi profondi, e “rimanda al concetto che la responsabilità civile parte sempre da un riconoscimento dei propri limiti: ma il sorriso e la gratitudine che traspaiono comunque da queste storie – conclude il regista e compositore – sono un grande segno di speranza per tutti noi”.
Prodotto da Fai-Cisl, Agrilavoro e Fondazione Fai-Cisl Studi e Ricerche, nato da un’idea di Onofrio Rota, Segretario generale della Federazione agroalimentare cislina, con musiche originali dello stesso Giovanni Panozzo, il docufilm dura 62 minuti e sarà presentato in anteprima all’evento collaterale “Persona Lavoro Ambiente” della 80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica de La Biennale di Venezia. Appuntamento per venerdì 8 settembre alle 11, presso lo Spazio Incontri Venice Production Bridge, nell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia.
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