Kirk Douglas compie 102 anni

«Perché non ve ne andate in montagna? Con la vostra tempra potreste campare cent'anni», diceva lo sceriffo Wyatt Earp (interpretato da Burt Lancaster) a Doc Hollyday (K. Douglas), dentista-pistolero tubercolotico ed alcolizzato. «È proprio la cosa che desidero di meno», rispondeva lui. Nella realtà, pare che la Sorte abbia deciso diversamente. Kirk Douglas cento anni li ha raggiunti e superati. Fra i grandi della Hollywood classica è l’unico ad esserci riuscito. I suoi illustri colleghi della sua generazione (ricordiamo Robert Taylor, Stewart Granger, il già citato Burt Lancaster, Richard Widmark, Sterling Hayden, Gregory Peck, Glenn Ford, Robert Mitchum, William Holden) son tutti morti. Ed quelli nati nel decennio successivo (Yul Brynner, Walter Matthau, Charles Bronson, Charlton Heston, Marlon Brando, Paul Newman, Jack Lemmon, Rod Steiger, Tony Curtis, Peter Falk, James Coburn). I più anziani (dopo di lui) ancora in vita sono quelli nati nel biennio 1930/31 (Gene Hackman, Clint Eastwood, Sean Connery, Robert Duvall), ovvero attori che hanno circa quindici anni di meno.
Nato a New York nel 1916, figlio di immigrati russi, laureato in Lettere e diplomato all’American Academy of Dramatic Arts, comincia la sua carriera nel ’40 nei teatri di New York, recitando - sia pur saltuariamente - anche a Broadway.
Dopo aver prestato servizio militare in Marina, dopo la Seconda guerra mondiale arriva a Hollywood per interpretare il ruolo di un giovane procuratore distrettuale nel noir Lo strano amore di Martha Ivers (1946) di Lewis Milestone, in cui lavora con Barbara Stanwyck (reduce dal memorabile ruolo di “dark lady” in Double Indemnity - 1944 - di Billy Wilder, tratto dal libro di James Cain, scritto dallo stesso Wilder insieme a Raymond Chandler) e Van Heflin.
Nel biennio successivo ha due ruoli (negativi) di rilievo in altrettanti film noir: Out of the Past (1947) di Jacques Tourneur, con Robert Mitchum, Jane Greer e Rhonda Fleming e Le vie della città (1948) di Byron Haskin, con Burt Lancaster.
La sua abilità nella caratterizzazione dei personaggi, unita ad un volto scolpito e incisivo, ne fanno subito una figura forte, spesso contraddistinta da cinismo. In ogni caso, non rifiuta anche ruoli brillanti (La cara segretaria - 1949 - di Charles Martin, Lettera a tre mogli - 1949 - di Joseph L. Mankiewicz), ma i toni della commedia non rientrano granché nelle sue corde. Ad ulteriore conferma e dimostrazione di ciò è il fatto che il film con cui conquista finalmente l’interesse del pubblico sarà lo sportivo Il grande campione (1949) di Mark Robson, in cui interpreta magistralmente (ottiene una Nomination all’Oscar come Miglior Attore Protagonista) il ruolo di un pugile di grande forza atletica ma di scarse (per non dire inesistenti) qualità umane.
Due anni dopo arriva definitivamente al successo con Sabbie rosse (1951) di Raoul Walsh, il suo primo western, e dando vita alla cinica e ignobile figura del giornalista sciacallo Chuck Tatum de L’asso nella manica (1951) di Billy Wilder, primo grande film americano contro il giornalismo senza scrupoli, a quella del poliziotto spietato e nevrotico di Pietà per i giusti (1951) di William Wyler, con cui ottiene una Nomination al Golden Globe come Miglior Attore in un Film Drammatico, e a quella del cinico produttore de Il bruto e la bella (1952) di Vincente Minnelli, con cui ottiene la sua seconda Nomination all’Oscar come Miglior Attore Protagonista
Di tutt’altro genere i suoi personaggi nel western Il grande cielo (1952) di Howard Hawks, tratto dal libro omonimo di A. B. Guthrie, 20.000 leghe sotto i mari (1954) di Richard Fleischer, tratto dal libro omonimo di Jules Verne (fu il primo J. Verne ad esser portato al cinema, prima dei successivi Il giro del mondo in ottanta giorni di Michael Anderson, Viaggio al centro della Terra di Henry Levin, I figli del capitano Grant di Robert Stevensonm, Cinque settimane in pallone di Irwin Allen), Ulisse (1954) di Mario Camerini, con Silvana Mangano, Franco Interlenghi ed Anthony Quinn, i western Man Without a Star (1955) di King Vidor, e Il cacciatore di indiani (1955) di Andre De Toth, Brama di vivere (1956) di Vincente Minnelli, in cui interpreta un Vincent Van Gogh già sull’orlo della follia, in cui lavora per la seconda volta con Anthony Quinn (che vincerà l’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista interpretando Paul Gaugin), con cui vince il Golden Globe come Miglior Attore in un Film Drammatico, e con cui ottiene la sua terza Nomination all’Oscar come Miglior Attore Protagonista.
Nel celebre western Sfida all’OK Corrall (1957) di John Sturges, fornisce un’eccellente prova nel ruolo di un sofferto ed intenso Doc Holliday, medico alcolizzato, tubercolotico, pistolero, giocatore d’azzardo e amico dello sceriffo di Tombstone Wyatt Earp (Burt Lancaster, con il quale stabilità un ottimo rapporto di amicizia e, nei successivi trent’anni, girerà altri sei film).
Bravissimo è anche nel coraggioso pamphlet antimilitarista Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, all’epoca non ancora trentenne e al suo terzo film dopo Il bacio dell’assassino e Rapina a mano armata. Da Kubrick verrà diretto anche tre anni dopo in Spartacus (1960), nel ruolo del celebre gladiatore trace che guida la storica rivolta degli schiavi contro l’Impero Romano.
Nel western contemporaneo Solo sotto le stelle (1962) di David Miller è superlativo nella parte di un cowboy inguaribilmente solitario (personaggio piuttosto simile a quello interpretato nel precedente e già citato Man Without a Star) che fugge a cavallo attraverso il deserto e le montagne inseguito da jeep ed elicotteri e finisce travolto da un camion attraversando una superstrada di notte e sotto un acquazzone.
Fra gli altri film ricordiamo Il lutto si addice ad Elettra (1948) di Dudley Nichols, Le mura di Gerico (1948) di John M. Stahl, Chimere (1950) di Michael Curtiz, con Lauren Bacall, Lo zoo di vetro (1950) di Irving Rapper, l’avventuroso Il tesoro dei Sequoia (1952) di Felix E. Feist, I perseguitati (1953) di Edward Dmytryk, Destino sull’asfalto (1955) di Henry Hathaway, I vichinghi (1958) di Richard Fleischer, con Tony Curtis e Janet Leigh, il western Il giorno della vendetta (1959) di John Sturges, in cui lavora per la terza volta con Anthony Quinn, Il discepolo del diavolo (1959) di Guy Hamilton, con Burt Lancaster, la commedia Noi due sconosciuti (1960) di Richard Quine, con Kim Novak e Walter Matthau, La città spietata (1961) di Gottfried Reinhardt, il western L’occhio caldo del cielo (1961) di Robert Aldrich, con Rock Hudson e Dorothy Malone, Due settimane in un’altra città (1962) di Vincente Minnelli, L’uncino (1963) di George Seaton, I cinque volti dell’assassino (1963) di John Huston, i tre film bellici 7 giorni a maggio (1964) di John Frankenheimer, con Burt Lancaster, Prima vittoria (1965) di Otto Preminger, con John Wayne, e Gli eroi di Telemark (1965) di Anthony Mann, con Richard Harris, Combattenti nella notte (1966) di Melville Shavelson, Parigi brucia? (1966) di René Clement, i western Carovana di fuoco (1967) di Burt Kennedy, in cui lavora per la seconda volta con John Wayne, e La via del West di Andrew V. McLagen, La fratellanza (1968) di Martin Ritt, Il compromesso (1969) di Elia Kazan, Uomini e cobra (1970) di Joseph L. Mankiewicz, con Henry Fonda, Il faro in capo al mondo (1971) di Kevin Billington, il western Quattro tocchi di campana (1971) di Lamont Johnson, in cui lavora con il celebre cantante country Johnny Cash (al suo esordio cinematografico), Un uomo da rispettare (1972) di Michele Lupo, con Giuliano Gemma, l’horror Holocaust 2000 (1977) di Alberto De Martino, Fury (1978) di Brian De Palma, Jack del cactus (1979) di Hal Needham, Countdown dimensione zero (1980) di Don Taylor, il western L’uomo del fiume nevoso (1982) di George Miller, La fuga di Eddie Macon (1983) di Jeff Kanew, il western televisivo Coppia di Jack (1984, conosciuto anche con il titolo Il bandito e lo sceriffo) di Steven Hilliard Stern, con James Coburn,, l'amaro Due tipi incorreggibili (1986) di Jeff Kanew, in cui lavora per la settima e ultima volta con l’amico Burt Lancaster.
Negli anni Settanta dirige e interpreta Un magnifico ceffo da galera (1973) e I giustizieri del West (1975), che avranno scarso successo (sia di pubblico sia di critica).
Da produttore, gira a suo figlio Michael tre grandi film di quel decennio: Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman, Coma profondo (1978) di Michael Chrichton, e Sindrome cinese (1979) di James Bridges.
A partire dagli anni Novanta dirada notevolmente le sue apparizioni. Ricordiamo Oscar - Un fidanzato per due figlie (1991) di John Landis, Caro zio Joe (1994) di Jonathan Lynn, Diamonds (1998) di John Mallory Asher.
Nel ’96 riceve un meritato Oscar alla Carriera.
I suoi ultimi film sono stati Vizio di famiglia (2002) di Fred Schepisi, in cui lavora con il figlio e con la sua ex moglie Diana Dill (madre di Michael Douglas) e Illusion (2004) di Michael A. Goorjian.
Nel 2008 partecipa al film televisivo Meurtres a l’Empire State Building di William Karel e l’anno successivo al documentario Before I forget (2009) di Jeff Kanew.
Nel 1988, dopo circa due anni di lavoro, Kirk Douglas pubblica Il figlio del venditore di stracci, la sua autobiografia. Nei venticinque anni successivi ha scritto altri otto libri, fra cui ricordiamo Io sono Spartaco! Come girammo un film e cancellammo la lista nera (2012), pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 2013 (traduzione di Luca Fusari) ed in cui racconta la vicenda della burrascosa e travagliata realizzazione del già citato Spartacus di Stanley Kubrick, e del fatto che lo sceneggiatore Dalton Trumbo, finito sulle famigerate “liste nere” all’inizio degli anni Cinquanta, ebbe finalmente la possibilità di tornare a firmare un lavoro con il suo vero nome (vicenda che segnò simbolicamente la fine del maccartismo ad Hollywood).
Nella prefazione del libro, George Clooney, rendendo omaggio al coraggio dimostrato da Kirk Douglas nella lotta contro il maccartismo, scrive: «Esiste un metodo infallibile per giudicare di che pasta è fatta una persona: non si capisce da come ti comporti quando fila tutto liscio, ma da come ti gestisci quando è dura. Finché la posta in palio è bassa siamo tutti coraggiosi. Ma quando è in gioco il tuo lavoro, o persino la tua vita, quella dei tuoi familiari o dei tuoi amici, allora sì che viene fuori di che stoffa sei fatto. La stoffa di cui è fatto Kirk Douglas è parecchio resistente. La sua non è una storia da film, quella del paladino che parte, lancia in resta, per difendere la sua causa. Per come ha raggiunto la gloria, somiglia più all’Atticus Finch del Buio oltre la siepe. Non cercava lo scontro… è stato lo scontro a trovare lui… e come Atticus, Kirk sapeva che cosa fare… quale fosse la scelta giusta. Oggi è difficile rendersi conto di quanto fosse ingombrante e pesante il maccartismo. È difficile immaginare che tanti americani onesti furono trascinati davanti alle sottocommissioni del Senato e costretti a svergognare i loro amici, se non volevano andare in carcere. Processati in pubblico senza potersi difendere. Sotto quel peso cedettero in tanti. E chi non cedeva pagava, e continuò a pagare anche dopo la fine degli interrogatori di McCarthy. Persino dopo la morte di McCarthy. […] Kirk Douglas è tante cose. Una stella del cinema. Un attore. Un produttore. Ma prima di tutto, un uomo di straordinario carattere. Di quelli che vengono fuori quando la posta in palio è alta. Di quelli a cui ci rivolgiamo sempre nei momenti più bui».
Alessandro Poggiani
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