Un ricordo di Francesco Rosi nel centenario della sua nascita

«La vita di un regista sono i suoi film. Non tutta la sua vita certo, ma quella parte di essa attraverso la quale ha espresso la sua relazione con il mondo, con le idee e con gli uomini» (Francesco Rosi)
Nato a Napoli nel 1922 - muore a Roma nel gennaio 2015 -, aiuto regista di Luchino Visconti per La terra trema (1948) ed in seguito di Michelangelo Antonioni e di Mario Monicelli, cosceneggiatore di molti film negli Cinquanta per Luigi Zampa - Processo alla città (1952) -, Luciano Emmer - Il bigamo (1956) - e ancora L. Visconti - Bellissima (1951) -, esordisce alla regia sostituendo Goffredo Alessandrini in Camicie rosse (1953).
Tuttavia, il suo primo vero film come autore è La sfida (1958), prodotto dall’allora emergente Franco Cristaldi, particolarmente attento ai nuovi nomi che si affacciavano nel panorama della cinematografia italiana degli anni Cinquanta.
In La sfida, nonché nel successivo I magliari (1959), è già presente quel dato cronachistico che, filtrato dalla finzione drammatica, rappresenta la peculiarità del suo cinema, che diventerà noto anche a livello internazionale a partire da Salvatore Giuliano (1962), superlativa ricostruzione della vicenda del celebre bandito siciliano assassinato nel luglio 1950, realizzata attraverso una scomposizione del racconto in una serie di flashback che sottraggono il personaggio di Giuliano ad ogni tentazione mitizzante, ma mettono in luce con grande chiarezza gli interessi economici e politici che portarono all’affermazione della mafia nella Sicilia dell’immediato dopoguerra.
Il suo sguardo spietato sui mali della società italiana innesca roventi polemiche quando Le mani sulla città (1963) vincerà il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia con una precisa denuncia delle speculazioni e degli scandali negli anni della ricostruzione e del boom economico.
Dopo gli ottimi - e purtroppo sottovalutati - Il momento della verità (1965) e C’era una volta (1967), torna ad un cinema di forte impegno civile con Uomini contro (1970), tratto da Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu, e che offre una visione inedita e scevra di retorica dell’esperienza della Prima guerra mondiale.
Il caso Mattei (1972) segna il ritorno deciso allo stile del reportage nella ricostruzione delle vicende del presidente dell’ENI, fino alla morte in circostanze mai chiarite, ma soprattutto getta una luce inquietante sulle connivenze fra il potere politico e le oscure trame destabilizzanti che contraddistinguono la storia del Paese nel dopoguerra.
Il successivo Lucky Luciano (1973), interpretato da Gian Maria Volonté - così come i precedenti Uomini contro e Il caso Mattei -, l’attore simbolo del cinema politico ed impegnato italiano degli anni Sessanta e Settanta, ricostruisce gli ultimi anni di vita che il noto boss trascorre in Italia portando nella tomba i suoi roventi segreti.
L’apice della sua filmografia è, secondo alcuni, Cadaveri eccellenti (1976), tratto da Il Contesto di Leonardo Sciascia - fu il secondo libro di Sciascia ad esser portato al cinema, dopo A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri e Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, nello stesso anno di Todo Modo (1976) di E. Petri e circa quindici anni prima di Porte aperte (1990) di Gianni Amelio -, sulle aberranti conseguenze di un potere politico corrotto fino al midollo.
Anche molti fra i suoi film successivi sono tratti da testi letterari: da Carlo Levi trae Cristo si è fermato a Eboli (1979), con G. M. Volonté; da Primo Levi La tregua (1997), coproduzione internazionale con un cast d’eccezione (John Turturro, Rade Serbedjia, Massimo Ghini, Stefano Dionisi).
Nei vent’anni circa precedenti a La tregua, dopo Tre fratelli (1981), in cui riflette sui cosiddetti “anni di piombo” della nostra penisola, realizza Carmen (1984), colorata ed avvincente versione cinematografica dell’opera omonima di Georges Bizet, e Cronaca di una morta annunciata (1987), tratto dal romanzo omonimo di Gabriel Garcia Marquez ed interpretato da G. M. Volonté.
Negli anni successivi dirige Dimenticare Palermo (1990) e Diario Napoletano (1992) ed il già citato La tregua.
Negli anni Duemila torna alla regia teatrale allestendo una trilogia dedicata a Eduardo per la compagnia di Luca De Filippo. Sul successo della messinscena di Napoli milionaria! (2003), L. De Filippo disse: «Mi venne in mente di chiedergli di occuparsi di questa regia una notte di tre anni fa, quando, in omaggio a Eduardo, fu proiettato il film omonimo, tratto dalla commedia. Pensai che sarebbe stato bello unire, sui temi trattati in Napoli milionaria!, una coppia di grandi napoletani, mio padre e Rosi. Due uomini e due artisti che hanno sempre lavorato alla luce dell'impegno civile e morale».
Seguono Le voci di dentro (2006) e Filumena Marturano (2008). «E' come se a teatro continuassi il discorso che ho portato avanti nei miei film».
Nel 1996 F. Rosi aveva ricevuto la laurea honoris causa in Lettere all'Università di Padova. Nel 2001 la laurea honoris causa in Architettura al Politecnico di Torino. Nel 2005, per Le mani sulla città, gli viene conferita la laurea ad honorem in "Pianificazione territoriale urbanistica ed ambientale" presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria. Inoltre consegue un dottorato nelle Arti al Middlebury College negli Stati Uniti ed in Lettere a Parigi (alla Sorbonne).
Nel 2008 gli viene assegnato l'Orso d'Oro alla carriera al Festival di Berlino; l'anno seguente la Legion d'Onore; nel 2010 l'Alabarda d'Oro alla Carriera e nel maggio 2012 il Consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia approvò all'unanimità la proposta del suo direttore, Alberto Barbera, di conferire il Leone d'Oro alla Carriera al quasi novantenne regista in occasione della 69esima edizione della Mostra del Cinema.
Negli ultimi due anni della sua vita il regista continuerà a raccogliere documentazioni e riprenderà alcuni progetti nati negli anni Sessanti (e che rimarranno tali): Bruto, sulla vita e la morte di Giulio Cesare, e I 199 giorni del Che, sulla storia di Ernesto Che Guevara, e soprattutto sulle condizioni della vita delle popolazioni latino-americane in quegli anni. Fra i suoi propositi anche un film sulla rivoluzione giacobina ed un film su Raul Gardini. Nel 2014 prende parte al film Born in the U.S.E., coprodotto da Renzo Rossellini e diretto dal regista Michele Diomà.
Dopo la sua morte, la cerimonia laica si tenne alla Casa del Cinema a Villa Borghese, alla presenza dell'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (nelle ultime settimane del suo settennato). «Tel qu'en lui meme enfin l'éternité le change». Così lo ricorderà il suo amico Raffaele La Capria (citando i versi di Mallarmé per la morte di Edgar Allan Poe)
Fra i lavori dedicati a F. Rosi ricordiamo il film-documentario Il cineasta e Il labirinto (2002) di Roberto Andò, il quale fu suo assistente per Dimenticare Palermo, e Citizen Rosi (2019), film-documentario realizzato da Didi Gnocchi e da sua figlia Carolina Rosi quattro anni dopo la sua scomparsa.
Sguardo libero e rigoroso, sempre attraversato da una palpabile tensione etica, Francesco Rosi è stato senz’altro uno fra i grandi maestri del cinema italiano di impegno civile, nonché l’artefice esemplare di un’idea di cinema in cui le ragioni dello spettacolo e della finzione si fondono in modo notevole con le urgenze della realtà.
Alessandro Poggiani
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