Un ricordo di William Holden nel centenario della sua nascita

un maturo William Holden con Faye Dunaway in "Quinto potere" di Sidney Lumet un maturo William Holden con Faye Dunaway in "Quinto potere" di Sidney Lumet
Cento anni fa, nell’aprile 1918, nasceva il grande attore americano, interprete di film quali “Viale del tramonto”, “Stalag 17 - L’inferno dei vivi”, “Sabrina” e “Fedora”, tutti e quattro diretti da Billy Wilder, “L’assedio delle sette frecce” di John Sturges” “Il ponte sul fiume Kwai” di David Lean, “Quinto potere” di Sidney Lumet e molti altri.

Nato a O’ Fallon - nell’Illinois -, notato in una produzione teatrale all’epoca del college, nel 1936, a soli diciotto anni, viene messo sotto contratto sia dalla Paramount sia dalla Columbia. Dopo qualche ruolo minore (Prison Farm - 1938 - di Louis King, Million Dollar Legs - 1939 - di Nick Grinde, Strisce invisibili - 1939 - di Lloyd Bacon) interpreta il violinista/boxeur in Passione - Il ragazzo d’oro (1939) di Rouben Mamoulian, rivelando un notevole talento.

Dopo aver combattuto nella Seconda guerra mondiale ed esser tornato con il grado di tenente, interpreta numerosi film (Bagliore a mezzogiorno - 1947 - di John Farrow, Non si può continuare a uccidere - 1948, conosciuto anche con il titolo L’uomo del Colorado - di Henry Levin, con l’amico Glenn Ford, Il vagabondo della foresta - 1948 - di Norman Foster, con Robert Mitchum, All’alba non sarete vivi - 1948 - di Rudolph Maté, I cavalieri dell’onore - 1949 - di Leslie Fenton, Segretaria tuttofare - 1949 - di Lloyd Bacon, Nata ieri - 1950 - di George Cukor) fino all’incontro - fondamentale per la sua carriera cinematografica - con il grande Billy Wilder, il quale lo dirigerà in personaggi passati alla storia del cinema: lo sceneggiatore fallito di Viale del tramonto (1950), con Gloria Swanson, Erich von Stroheim e Nancy Olson, il caparbio prigioniero del campo tedesco di Stalag 17 - L’inferno dei vivi (1953), con cui vince l’Oscar come Miglior Attore Protagonista, ed il ricco dongiovanni di Sabrina (1954), con Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e Martha Hyer.

Divenuto uno fra gli attori più noti della sua generazione (insieme ai quasi coetanei Robert Taylor, Stewart Granger, Alan Ladd, Burt Lancaster, Richard Widmark, Sterling Hayden, Gregory Peck, Glenn Ford, Kirk Douglas, Robert Mitchum), è l’affascinante straniero di Picnic (1956) di Joshua Logan ed il prigioniero americano nel kolossal bellico Il ponte sul fiume Kwai (1957) di David Lean, con Alec Guinness e Sessue Hayakawa.

Attore eclettico e molto versatile si cimenta anche nel western: L’assedio delle sette frecce (1953) di John Sturges, con Eleanor Parker e John Forsythe, Soldati a cavallo (1959) di John Ford, in cui lavora con John Wayne, e nel celebre Il mucchio selvaggio (1969) di Sam Peckinpah, con Ernest Borgnine, Ben Johnson, Warren Oates, Robert Ryan e L. Q. Jones.

Appassionato viaggiatore ed accanito bevitore, a partire dalla fine degli anni Sessanta dirada le sue apparizioni, sia pur continuando a spaziare in vari generi: il catastrofico (L’inferno di cristallo - 1974 - di John Guillermin ed Irvin Allen e Ormai non c’è più scampo - 1980 - di James Goldstone), il film di denuncia (Quinto potere - 1977 - di Sidney Lumet, considerato - insieme a Quarto potere di Orson Welles, L’asso nella manica di Billy Wilder, L’ultima minaccia di Richard Brooks, Un volto nella folla di Elia Kazan, Prima pagina di Billy Wilder, Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula, Diritto di cronaca di Sydney Pollack e Sotto tiro di Roger Spottiswoode   - come uno fra i migliori film americani sul giornalismo mai realizzati), la commedia amara e cinica (S.O.B. - 1981 - di Blake Edwards). Insieme a Robert Mitchum e Richard Widmark è senz’altro l’attore della vecchia Hollywood che più è riuscito a adattarsi allo stile del cosiddetto New American Cinema di fine anni Sessanta/inizio Settanta.

Fra gli altri film ricordiamo La nostra città (1940) di Sam Wood, Arizona (1940) di Wesley Ruggles, Texas (1941) di George Marshall, con Glenn Ford, La fortezza s’arrende (1942) di Victor Schertzinger, L’ultima preda (1950) di Rudolph Maté, Squali d’acciaio (1951) di John Farrow, Furore sulla città (1952) di William Dieterle, La vergine sotto il tetto (1953) di Otto Preminger, La sete del potere (1954) di Robert Wise, La ragazza di campagna (1954) di George Cukor, con Grace Kelly e Bing Crosby, I ponti di Tokyo-RI (1954) di Mark Robson, in cui lavora nuovamente con Grace Kelly, Anche gli eroi piangono (1956) di George Seaton, La chiave (1958) di Carol Reed, con Sophia Loren, Il mondo di Suzie Wong (1960) di Richard Quine, Storia cinese (1962) di Leo McCarey, Il falso traditore (1962) di George Seaton, Il leone (1962) di Jack Cardiff, Insieme a Parigi (1964) di Richard Quine, in cui lavora nuovamente con Audrey Hepburn, La settima alba (1964) di Lewis Gilbert, Alvarez Kelly (1966) di Edward Dmytryk, La brigata del diavolo (1968) di Andrew V. McLagen, L’albero di Natale (1969) di Terence Young, Uomini selvaggi (1971) di Blake Edwards, con Ryan O’ Neal, La feccia (1972) di Daniel Mann, Breezy (1973) di Clint Eastwood, Le mele marce (1974) di Peter Collinson, Fedora (1978) di Billy Wilder, con Marthe Keller, Hildegard Knef e José Ferrer, La maledizione di Damien (1978) di Don Taylor, Ashanti (1979) di Richard Fleischer, con Michael Caine, Il bambino e il grande cacciatore (1980) di Peter Collinson.

William Holden muore a Santa Monica, in California, nel novembre 1981, all’età di sessantatré anni.          

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.

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