13 anni senza Michele Prisco, Premio Strega nel '66

Nato a Torre Annunziata nel 1920, vive la sua giovinezza in un ambiente borghese che poi rappresenterà lo sfondo dei suoi libri.
Dopo la laurea in Giurisprudenza e il superamento degli esami da procuratore legale, alla carriera di avvocato preferirà quella di giornalista e scrittore.
Nel ‘42 viene pubblicato - su “La Lettura”, mensile del “Corriere della sera” - Gli alianti, il suo primo racconto.
Prima di partire militare collabora con “La Gazzetta del Popolo” di Torino e, anche nel corso dei mesi passati al fronte, proseguirà il suo percorso di formazione grazie a commilitoni – con i quali stabilirà ottimi rapporti di amicizia - come gli scrittori Gino Montesanto e Mario Pomilio e il pittore Enrico Accatino.
Alla fine della guerra riprende l'attività giornalistica collaborando con varie testate, sia quotidiane che periodiche.
Nel ‘49 pubblica, La provincia addormentata, il suo primo libro, con cui ottiene la medaglia d'oro per l'opera prima al Premio Strega di quell'anno.
L'anno successivo Gli eredi del vento gli farà vincere il Premio Venezia per l'inedito.
Nel ‘51 si trasferisce a Napoli, città in cui vivrà per oltre cinquant’anni.
Negli anni Sessanta, insieme a Mario Pomilio, Domenico Rea, Luigi Incoronato, Gianfranco Venè e Leone Pacini Savoj, è fra gli animatori de “Le ragioni narrative”, rivista letteraria di cui sarà anche direttore. Prosegue anche il suo impegno giornalistico come critico letterario e cinematografico e, per circa un decennio, ricoprirà la carica di vice segretario del Sindacato Nazionale Scrittori.
Scrittore molto prolifico e apprezzato sia dalla critica sia dal pubblico, verrà scoperto anche dal cinema, che, nel ’78, darà vita a una fortunata versione del libro Una spirale di nebbia (Premio Strega 1966): La spirale di nebbia, diretto da Eriprando Visconti.
Nei suoi primi libri (La provincia addormentata , Eredi del vento, e Figli difficili) Michele Prisco descrive la borghesia partenopea con tutti i suoi limiti e le sue le sue debolezze, fra cui l'incapacità di proporre per Napoli alternative concrete a una situazione di stagnazione sociale e economica che ne impedisce lo sviluppo. Il seguito lo scrittore, pur continuando a sviscerare il mondo delle classi medie della sua città, cercherà di abbracciare nella sua analisi anche i ceti più popolari, ma nei suoi romanzi non introdurrà quelle connotazioni macchiettistiche e di folklore che saranno tipiche della maggior parte della letteratura napoletana del dopoguerra.
Nel ’96, con Il Pellicano di Pietra, vince il premio Cimitile.
Fra gli altri libri ricordiamo Fuochi a mare (1957), La dama di piazza (1962), Punto franco (1965), I cieli della sera (1971), con cui vince il premio Napoli, Gli ermellini neri (1975), Il colore del cristallo (1977), Le parole del silenzio (1981), con cui vince il premio Mediterraneo, Lo specchio cieco (1984), che gli vale il premio Giovanni Verga, il premio Hemingway e il premio Fiuggi, I giorni della conchiglia (1989), con cui vince il premio Sirmione Catullo e il premio Rosone d’Oro a Pescara, Terre basse (1992), che gli vale il premio Sila, il premio Il Pane a Castiglion del Lago (PG), il premio Boccaccio, il premio Frontino a Montefeltro (PU, all’epoca PS), e il premio Selezione a Penne (PE), Il cuore della vita (1995), Gli altri (1998), La pietra bianca. Quattro racconti inediti (2003), uscito poco prima della sua scomparsa.
Alcune foto di Michele Prisco sono ammirabili nella mostra Vita da Strega, curata dall’Archivio Fotografico Riccardi e formata da cinquanta scatti del grande fotografo Carlo Riccardi degli anni compresi fra il 1957 e il 1971, in quindici differenti edizioni del Premio Strega.
Vita da Strega è anche un libro, dal titolo Gli anni d'oro del Premio Strega - Racconto fotografico di Carlo Riccardi (Edizioni Ponte Sisto, Roma 2016). Il volume a cura di Maurizio Riccardi e Giovanni Currado, raccoglie una selezione di oltre novanta foto, una più ampia sintesi della raccolta presente all'interno dell'Archivio Fotografico Riccardi, e si conclude con il commento di Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione “Maria e Goffredo Bellonci”.
Alessandro Poggiani
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