Atlante dell’Arte Contemporanea 2020: conversazione con Stefania Pieralice

Atlante dell’Arte Contemporanea 2020: conversazione con Stefania Pieralice
In libreria da maggio 2020 la seconda edizione dell’Atlante dell’Arte Contemporanea (De Agostini). Abbiamo incontrato Stefania Pieralice, coordinatrice scientifica e direttrice di redazione dell’Atlante, e le abbiamo rivolto alcune domande.

Dottoressa Pieralice, il nuovo Atlante dell’Arte Contemporanea è un imponente volume - oltre novecento pagine - che ha come obiettivo fondamentale una completa e dettagliata mappatura del panorama artistico italiano. Come è nata l’idea di realizzare un progetto di questo tipo?

Inizio con una premessa. La fine degli anni ’80 è stata foriera di rivoluzioni culturali e sociali con l’avvento e la diffusione dei mezzi di comunicazione, con la liberalizzazione dei mercati, con l’ascesa di grandi potenze orientali e per usare un termine comprensivo di tali rivolgimenti con la globalizzazione che ha ridefinito o meglio abolito i limiti fisici, territoriali. Tali fenomeni hanno inevitabilmente inciso sul concetto di arte e sulla sua fruizione con relativa esportazione di alcuni prodotti culturali e importazione di altri derivati da Stati esteri. La globalizzazione e l’incremento della concorrenza nell’arte hanno ampliato i limiti del circuito artistico nostrano con una sua “internazionalizzazione” e l’egemonia, a dirla con le parole di Thompson, del “brand”, di “aste di brand”, di “gallerie di brand”, di “fiere di brand” laddove non più la pubblicità è arte, secondo il detto warholiano, bensì l’inverso. Ecco il volume nasce da questi presupposti ed opera in un preciso campo, quello italiano, con il fine di restituire importanza e dignità anche agli atelier di artisti dimenticati, a chi non è figlio prediletto di una lobbie, a chi lavora lontano dal clamore e dalle strategie economiche-commerciali che producono non arte bensì artisti; questo senza trascurare i nomi autorevoli e storicizzati nell’arco storico che va dal 1950 ai tempi attuali.

 

L’Atlante classifica oltre ottocento artisti che hanno operato nel corso di circa settant’anni - dal 1950 al 2019 - di storia dell’arte e divisi per regioni, tra cui ricordiamo a titolo non esaustivo: Afro, Anna Maria Li Gotti, Getulio Alviani, Federica Marin per il Friuli-Venezia Giulia; Giacomo Balla, Michelangelo Pistoletto, Carol Rama e Gilberto Zorio per il Piemonte; Vanessa Beecroft, Giulio Paolini, Luca Vernizzi per la Liguria; Agostino Bonalumi, Massimo Campigli, Lucio Fontana, Piero Manzoni, per la Lombardia; Alberto Burri, Bruno Ceccobelli, Leoncillo, per l’Umbria; Enrico Castellani, Maurizio D’Agostini, Emilio Vedova per il Veneto; Piero Agnetti, Baruchello Gianfranco, Carlo Maltese, Maria Beatrice Coppi per la Toscana; Antonio Ligabue, Giorgio Morandi, Arnaldo Pomodoro, Jucci Ugolotti, per l’Emilia-Romagna; Mimmo Jodice, Mimmo Paladino, Nicola Pica, per la Campania; Pino Pascali, Nino Perrone per la Puglia; Ettore Spalletti, Stefano Di Loreto, Mario Ceroli, Giancarlo Flati per l’Abruzzo; Fausto Melotti e Rudolph Stingel per il Trentino-Alto Adige; Enzo Cucchi, Eliseo Mattiacci, Sante Monachesi, Giovanni Scagnoli, Giò [Giovanni] Pomodoro, Giuseppe Uncini per le Marche; Anna Maria Maiolino, Gianluca Malgeri, Alfredo Pirri, Mimmo Rotella per la Calabria; Renato Guttuso, Rossella Pezzino De Geronimo, Carla Accardi, Letizia Battaglia per la Sicilia; Maria Lai, Mario Sironi per la Sardegna.

Inoltre, nel volume troviamo anche molti artisti romani (Franco Angeli, Ennio Calabria, Giuseppe Capogrossi, il già citato G. De Chirico, Piero Dorazio, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Fabio Mauri, Fausto Pirandello, Domenico Purificato, Mario Schifano, Toti Scialoja, Sabrina Bertolelli, Renzo Vespignani, Alberto Ziveri).

L’obiettivo del volume è far conoscere l'arte contemporanea italiana attraverso un linguaggio molto chiaro, diretto ed efficace - sia per gli "addetti ai lavori" sia per gli appassionati – e nello stesso tempo, in modo esaustivo e dettagliato; esistono differenze o analogie con altri prodotti editoriali aventi medesimo fine?

L’Italia vanta un’importante tradizione editoriale, a tal proposito il volume si distingue da altri Annuari in circolazione per alcuni aspetti sostanziali. Innanzitutto le trattazioni critiche che compongono gli schedari permettono una comprensione accurata e dettagliata della poetica di ogni artista. Inoltre tutta la sezione iniziale, articolata in ben sette indici di mercato, si pone come unica guida, attualmente esistente, per una obiettiva e certa valutazione economica delle opere. È tuttavia anche un volume che evita la seduzione delle mode e dei trend o l’apologia del mercato privilegiando stretti criteri storico artistici. Inoltre una parte di esso, curata da Marco Manzo, indaga i più recenti linguaggi ormai entrati di diritto nel panorama artistico contemporaneo come il tatuaggio. L’analogia che connota tutte le pubblicazioni di tale genere è sicuramente la tendenza a una maggiore “democratizzazione” dell’arte contemporanea.

 

In copertina un’opera di Piero Manzoni (1933-1963). A cosa è dovuta questa scelta?

Piero Manzoni rappresenta una delle figure artistiche paradigmatiche a livello internazionale nel secondo dopoguerra che ha lavorato in modo ironico sulla “sparizione” dell’opera d’arte in un momento storico dominato dall’Espressionismo Astratto e dall’Arte informale. Pensiamo al Fiato d’artista, alla Merda d’artista, ai corpi umani con certificato di autenticità e relativa scadenza; egli addirittura giunge a “divorare” la sua produzione firmando con il pollice alcune uova bollite messe a disposizione dei visitatori per il consumo. La serie degli Achromes, di cui un’opera è pubblicata in copertina, concretizza l’assenza di colore; le superfici rese con materiali quali caolino, garze, fibre, piume, feltri sottostanno solo alle leggi del tempo e della chimica. Ecco l’Achrome massimamente riflette il periodo che stiamo vivendo, l’azzeramento dell’arte intesa in senso tradizionale… o in senso passatista direbbero i puristi, e il distaccamento del manufatto, nella sua autoreferenzialità, dal suo autore. Manzoni meglio di un Fontana o di un Burri esplicita ciò. Dalla difficoltà di tradurre nell’opera, con la creatività e l’immaginario, un’alternativa all’esistenza (Manzoni docet!) e al contempo da un anelito universale verso un Infinito prossimo parte un volume uscito in tempo di Covid-19.

 

Nell’Atlante viene citato un caso clamoroso. Mi riferisco ovviamente alla Banana di Maurizio Cattelan, stimata centoventimila dollari e mangiata di fronte allo stupore di tutti i presenti da un visitatore all’Art Basel di Miami. Alcune domande, dunque, affiorano inesorabilmente: cos’è l’arte contemporanea? Quale il suo reale valore? E chi è in grado di stabilirlo? Quali i rapporti fra mercato, collezionisti, case d’asta e gallerie?

 In realtà Comedian - la banana di Cattelan appesa al muro con del nastro adesivo ad Art Basel Miami 2019 - seppur ha generato grande clamore non è poi così innovativa; pensiamo che già dal seicento il frutto era inserito in composizioni pittoriche e poi ripreso nell’ottocento da Paul Gauguin, Giorgio De Chirico, Frida Kahlo, David Hockney, Roy Lichtenstein e ancora Basquiat e Haring. La banana tuttavia è divenuta simbolo iconico, con una sua carica semantica erotico sessuale, proprio grazie a Warhol, padre della Pop Art americana, che aveva apposto il frutto sulla copertina del vinile The Velvet Underground & Nico invitando le persone a «sbucciare dolcemente e vedere». Indubbiamente quella di Cattelan, prima di una serie di tre dal valore di 120mila dollari, conferma e ribadisce quello che l’antropologo francese Emile Durkheim affermò già un secolo fa ossia che «la società consacra le cose, e soprattutto le idee». Oggi, e già a partire dalle grandi rivoluzioni artistiche del Novecento, l’arte non è più manufatto, scultura, quadro, disegno; la sua grammatica è cambiata nel tempo poiché la “spettacolarizzazione” di un’opera conta attualmente più di canoni estetici che un tempo potevano guidare la conoscenza sensibile del Bello o a pensarla in termini Kantiani quella “Estetica Trascendentale”. L’arte è contemporanea tanto più riflette valori collettivamente sentiti e condivisi in un dato momento storico, l’opera più comunicativa sarà quella più rappresentativa di “una visione del mondo oggettivata” usando le parole di Debord. Il valore reale di un opera? distinguerei la valutazione in due, quella storica artistica che spetta a chi ha dell’arte una conoscenza globale (dall’antichità ai giorni nostri) e quella prettamente economica riservata ai c.d. art advisors che guidano ad acquisti consapevoli ed oltre a valutare i risultati raggiunti nelle aste devono anche tener conto di numerosi fattori tra i quali autore, data di esecuzione di un opera, misura, presenza o meno della certificazione di autenticità, bibliografia di un opera, stato di conservazione, partecipazione a mostre di rilievo. A ciò si aggiunge poi un valore intrinseco variabile del manufatto che dipende dall’aspetto affettivo, emotivo che può assumere per il venditore o l’acquirente. Tutta la prima parte dell’Atlante dell’Arte Contemporanea si occupa di Arteconomy catalogando ogni artista per regione attraverso “Indici di mercato” rispettosi del mercato primario (gallerie) e secondario (aste). Mediante quotazioni, calcolo degli invenduti, estensione, fascia, plusvalenza, trend, giudizio della redazione si orienta il lettore ad una stima ragionata delle opere. Infine alla domanda circa i rapporti intercorrenti tra i vari attori del sistema dell’arte occorre dire che nel tempo vi è stata una evoluzione: se nel XIX e XX sec. era predominante il mercante, intermediario tra artista e collezionista, questa figura ha poi ceduto il posto prima al gallerista e infine alle case d’asta, considerando il ristrettissimo numero di gallerie atte a dettare un gusto dominante. Anche il ruolo del collezionista è mutato, se in origine prevaleva nella scelta delle opere una componente emotiva oggi risulta spesso dominante purtroppo quella speculativa.

 

Fra le caratteristiche fondamentali e peculiari - nonché fra i suoi innegabili pregi - dell’Atlante dell’Arte Contemporanea 2020 troviamo contenuti molto approfonditi ed esaustivi, e una notevole cura editoriale che va a fondersi con uno stile grafico moderno ed al passo con i tempi. A suo avviso, in che modo il volume, illustrando il panorama artistico italiano in tutto il mondo, potrebbe esser in grado di rappresentare uno sprone per l’innovazione?

 L’arte oggi sembra ferma a inizio anni Settanta. Già da allora l’Arte Povera divenne quella ufficiale italiana, considerata autorevole dai Musei e degna di rappresentare la tradizione della penisola all’estero. Celant fondò un movimento “globalizzato” che guardava all’estero e teneva conto delle influenze della Minimal Art, del New Dada, dell’arte sciamanica e naturalistica di Boys. Ad oggi l’Arte Povera è sentita come Arte del “Sistema”. Tuttavia oltre al “poverismo”, alle avanguardie di rottura anche la tradizione ha il suo peso, il linguaggio classico, la pittura, la scultura. Ben vengano quindi opere liriche che non abdicano al fattore estetico, che non rinunciano alla Bellezza, alla Poesia. Arte non deve essere necessariamente “disagio e caduta”. Ecco più che parlare di innovazione l’Atlante in tal senso è uno sprone per una rivalutazione e valorizzazione dell’arte nella sua accezione più “romantica”.

 

In un articolo apparso su «Agrpress» lo scorso 5 giugno (Ripartiamo con l’arte. In uscita l’edizione 2020 dell’Atlante dell’Arte Contemporanea Italiana), l’autrice dell’articolo scrive: «Dopo questo lungo periodo di emergenza, finalmente anche l’Arte può ripartire. L'invito è di sfogliare le pagine di questo ricco volume che descrive e illustra la nostra storia fatta di esperienza e di bellezza. Sarà un viaggio nel passato con uno sguardo fiducioso al futuro». Beh, nel ringraziarla per la sua gentilezza e disponibilità, non mi rimane che associarmi di tutto cuore a tale invito/augurio.

Vi leggo sempre con piacere e vi ringrazio. Rigiro questo meraviglioso augurio a voi e ai vostri lettori.

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.