Come passeri sui cavi di Stefania Pieralice e Daniele Radini Tedeschi

In un panorama narrativo contemporaneo, che fonde, amalgamandoli fra loro in maniera superlativa, registri linguistici differenti con uno stile ricco di contaminazioni e di poesia, in una Napoli nebbiosa ed invernale - lontana qualche anno luce dall’immagine luminosa e festosa che in genere si ha, sia pur in maniera erronea e convenzionale, della città -, immersa nel disagio dei tempi moderni e simbolo delle umane solitudini, operano personaggi passivi, rassegnati ed in balia di una ineluttabile e spaventosa casualità del destino che aleggia su di loro e che determina gesti estremi, un delitto, un suicidio, accuse e dolorose rivelazioni. Personaggi che riflettono mancanza di radici ed un perenne senso di smarrimento e di precarietà, quasi come se fossero sempre molto vicini al perdere qualcosa. Figure che viaggiano in solitudine, sole al mondo e su differenti vie, forse inconsciamente consapevoli del fatto che la vita, fra un passato che non è più, un presente incerto, ed un futuro che appare ancor più incerto - e che forse mai si riuscirà ad afferrare a pieno - in fondo altro non è che un lungo viaggio da cui nessuno esce vivo.
La facoltosa famiglia Fontana vive in maniera disgregata. Una vita contraddistinta da profonde contraddizioni interne. Sofia, la protagonista del romanzo, una donna spenta, facile preda dell’ansia e dei sensi di colpa, ed apparentemente vinta dalla vita e dalle sue avversità - «Quello che più mi fa orrore è l’idea di essere inutile; ben instruita, piena di promesse, sbiadita verso una maturità indifferente», è la citazione, tratta da Diari di Sylvia Plath, che apre il romanzo -, sia pur a fatica, riuscirà con saggezza (in greco, “Sofia”) ad emergere dall’apatia avviare un percorso di crescita, di sicurezza in se stessa e di liberazione personale. Suo marito, il cinico e decadente Guido Utimbergher, di nobile lignaggio ormai privo di ogni lustro, uomo mitomane, opportunista, corrotto, manipolatore e che la fa continuamente sentire inadeguata, andrà invece incontro a un destino tutt’altro che favorevole.
Nella scelta del cognome “Fontana” impossibile non pensare a Lucio Fontana ed ai suoi celebri “tagli” che contraddistinguono la sua opera, tagli che, nel libro, potrebbero esser la rappresentazione simbolica delle lacerazioni e della disgregazione della famiglia medesima (un riferimento, quello al grande artista argentino, di cui è quasi impossibile non tener conto se pensiamo alla competenza ed all’esperienza dei due autori nel settore della Storia dell’Arte).
In una vicenda immersa nella nebbia e nella neve - che qua e là rievoca quasi la San Pietroburgo de I demoni di Dostoevskij - e che alterna scene d’interno quasi mitteleuropee, troviamo indifferenza (il personaggio di Debra, egocentrica ed insensibile), insignificanza (Mauro), nostalgia di epoche passate, ma anche bagliori e sogni rivelatori. Dai riferimenti al superuomo di Nietzsche (per quanto riguarda la figura del già citato Guido Utimbergher) alla nostalgia socialista - l’indimenticabile personaggio di Kinga, nostalgica della sua infanzia trascorsa a Berlino Est («Molti di noi, nati e vissuti nella Germania orientale, di colpo nel 1989 con lo sfascio della cortina di ferro, si sono trovati in un mondo orrendo, governato dal peggior capitalismo, dal consumismo più sfrenato, dallo sfacciato sfruttamento dei lavoratori. […] Le nostre conquiste, i principi e i valori di una convivenza pacifica […] sono stati cancellati dall’immorale mercato speculativo, dall’insana voglia di fare carriera a tutti i costi, dalla globalizzazione più omologante») -, dalla figura di Che Guevara (per il ventitreenne Fabio) a Oscar Wilde (soprattutto il magnetico e raffinatamente cinico Lord Henry Wottom di Il ritratto di Dorian Gray, per l’altrettanto cinico Guido), il libro comprende passaggi poetici espressi con immagini delicate.
Immerse nelle paradigmatiche difficoltà dei tempi moderni, che assorbono i personaggi come delle sabbie mobili, le vicende vengono messe a confronto. La vita e la morte, in stile quasi bergmaniano, s’incrociano fra loro con misteriose, fragili ed inquietanti connessioni («Cosa si può chiedere alla morte?». «Che ci prenda a schiaffi prima che la vita finisca, permettendoci così di non sprecare i pochi momenti che abbiamo»). Una metafora della vita. Perché riuscire a tenersi in equilibrio sul filo - sovente tutt’altro che lineare della vita - non è affatto facile. È come essere dei “passeri sui cavi”. È già una fortuna il fatto di riuscire a non morir fulminati.
In un fuoco di fila di colpi di scena e drammatiche rivelazioni, fra sogni, sentimenti, e il dilemma sulla scelta fra perdere la libertà o la capacità di amare, il libro, pagina dopo pagina, con la sua atmosfera lirica e descrivendo un’epoca in cui la coscienza è ormai smarrita, si rivela sempre più ricco di dettagli, sfumature, sottigliezze psicologiche ed introspezione. E sempre più attraversato da una struggente vena di malinconica nostalgia. Quel che è stato ed avrebbe potuto essere; quel che è stato e che non avrebbe dovuto avvenire; quel che è stato e non sarà mai più.
Un romanzo che scava nel profondo, ed è proprio lì che colpisce il lettore. In un luogo che è nel profondo di ognuno di noi, dove nuotano i nostri demoni. E dove tornano, come in una danza, i volti dal passato, regalando, nello stesso tempo, l’inconfondibile profumo dell’opera che aiuta a volare alto, alla ricerca della libertà. Un’opera straordinariamente moderna nella sua capacità di far lievitare i rituali dello spiazzamento continuo, di metter tutto in discussione, di indossare e togliere la maschera, di esser saldamente ancorata a terra e, nello stesso tempo, di sfidare le leggi di gravità per volar via nel cielo di una rinascita e della speranza di una nuova vita.
Stefania Pieralice lavora da sempre nel campo dell’arte curando mostre di rilevanza internazionale. Nel corso degli anni ha diretto vari Padiglioni Nazionali della Biennale di Venezia. Attualmente è responsabile di collane scientifiche sull’arte contemporanea pubblicate da De Agostini. Lo stile introspettivo e psicologico di ogni suo elaborato è contraddistinto da una scrittura piana ed armoniosa.
Daniele Radini Tedeschi, discendente di un’antica famiglia aristocratica, ha pubblicato numerosi libri con i più autorevoli editori italiani (De Agostini, Giunti, Mondadori, De Luca), spaziando dalla saggistica alla prosa d’arte. Intellettuale e bibliofilo, appassionato di Thomas Mann, Georges Simenon e Ernest Hemingway, opera una scrittura morbida e atmosferica, attenta allo stile e alla grazia, non priva di una lirica “joie de vivre”.
Come passeri sui cavi (Start edizioni, pp. 228, euro 14,00) di Stefania Pieralice e Daniele Radini Tedeschi - progetto grafico: Patricia Collesi Schmidt; realizzazione editoriale e stampa: Litografia Bruni srl.; in copertina: illustrazione di Marzio Ottori - è disponibile in libreria e online dicembre 2021.