Il cibo ideale di Francesca Pirozzi presentato al Libraccio di via Nazionale

«… ho amato tante cose nella vita… una è l’acqua… dove nuotare nel silenzio e lasciarsi andare… mia ha fatto sentire libera e felice… starci per sempre è il più bel regalo che mi posso fare…» (Francesca Pirozzi)
«E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava» (Luigi Pirandello)
«La cura per ogni cosa è l’acqua salata: sudore, lacrime, o il mare» (Karen Blixen)
Cosa vuol dire mangiar sano oggi? L’alimentazione è ancora solo nutrimento? Quanto i programmi televisivi stanno alzando il livello di conoscenza sul cibo? Da cosa dipenderà la ristorazione del futuro? Il continuo lavoro di ricerca degli chef aiuta anche a migliorare la qualità delle materie prime? Quale stile alimentare è meglio seguire durante la chemioterapia?
Sono alcune fra le domande a cui, per accompagnare la tesi di Francesca, hanno dato risposte, raccontato esperienze, fornito consigli e ricette il Professor Giorgio Calabrese (docente di Dietetica e Nutrizione Umana), il Dottor Luca Imperatori (Dirigente Medico U.O.C. Oncologia Medica), e gli chef stellati Nadia Santini (ristorante “Dal Pescatore”, Canneto sull’Oglio - MN), Mauro Uliassi (ristorante “Uliassi”, Senigallia - AN), Massimiliano Alajmo (ristorante “Le Calandre”, Sarmeola di Rubano - PD), Riccardo Camanini (ristorante “Lido 84”, Gardone Riviera - BS), Pietro Leemann (ristorante Joia - Milano) e Paolo Simioni (Executive Chef “Forte Village Resort” - Santa Margherita di Pula - CA).
Il cibo ideale non è un libro di cucina, una guida al mangiar sano, una raccolta di ricette. O forse è tutto questo. Nato dall’idea di completare il lavoro di Francesca (1992-2016), che dal suo letto d’ospedale stava scrivendo la tesi sull’alimentazione nei pazienti in chemioterapia, si è via via arricchito di spunti e di contributi “utili” a tutti nell’approccio quotidiano con il cibo. Forse non esiste un “mangiare ideale”, un cibo che nel bene o nel male influisca sul nostro vivere. Tutto può far male e allo stesso tempo bene. Sono la qualità dei prodotti, le modalità di preparazione, la quantità di quello che mangiamo che, uniti al nostro stile di vita e a dove viviamo, possono determinare o meno l’insorgere di malattie. Il cambiamento del modo di mangiare continua a mutare le nostre abitudini, la nostra cucina ed il nostro modo di fare la spesa. Sugli scaffali dei supermercati un prodotto per essere “buono” deve per forza essere senza qualcosa, indirizzando il consumatore verso una totale confusione. La grande industria e la globalizzazione, se da una parte hanno portato un più facile accesso ai prodotti, dall’altra hanno standardizzato palato e scelte. Esperti, nutrizionisti e chef raccontano, ognuno dal suo punto di vista professionale, come e cosa mangiare per lasciare al cibo quel ruolo fondamentale per la vita di tutti.
Francesca Pirozzi nasce a Pegognaga (MN), quella zona della bassa Lombardia vicina al confine con L’Emilia-Romagna, il 9 maggio 1992. Dopo le scuole dell’obbligo, si è diplomata in un percorso scolastico in cui il cibo era protagonista. Donatrice di sangue e bagnina di salvataggio nel tempo “libero”, da studentessa universitaria prende la strada per formarsi nel settore erboristico-alimentare. Francesca faceva sempre qualcosa di utile per gli altri. Nel giugno 2015 le hanno diagnosticato un linfoma non Hodgkin, ma ha continuato a studiare, a dare esami ed a preparare la tesi di laurea, che ha deciso di focalizzare sulla sua malattia. Il 7 agosto 2016 chiude gli occhi per sempre. Il 20 agosto dello stesso anno le sue ceneri, secondo le sue volontà, sono state liberate nel Mar Adriatico, di fronte alla spiaggia di Fano.
Il cibo ideale. Per una sana alimentazione, con i consigli di nutrizionisti e chef stellati ai malati oncologici di Francesca Pirozzi, prefazione di Andrea Sinigaglia (Direttore Generale Alma - Scuola di Cucina Internazionale), pubblicato da Francesca Pirozzi Onlus, è disponibile in libreria e online da febbraio 2018.
Il ricavato sta finanziando un progetto di ricerca oncologica del dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università di Urbino.
«Francesca avrebbe detto “ma dai!”, troppa roba per lei, schiva e riservata ma concreta e tenace. L’idea di fare una Fondazione a suo nome forse non le sarebbe piaciuta per il fatto di mettersi in mostra, ma l’obiettivo di poter essere utile agli altri l’avrebbe vista subito in prima linea. Quando ha conquistato l’ultimo attestato d’istruttore di nuoto era già malata e non ha più potuto scendere in piscina, ha dovuto smettere anche di donare il sangue e le mancava quel suo “essere utile agli altri” che si è sempre portata addosso. Ci abbiamo pensato tanto, sembra ieri che Francesca non ci guarda più con i suoi occhi sempre sorridenti, alla fine abbiamo deciso di creare la Fondazione Francesca Pirozzi con l’obiettivo di generare fondi per la ricerca e produrre materiali con contenuti, informazioni e dati concreti, “utili” a chi si ammala come lei e più in generale con problematiche oncologiche. Francesca era una ragazza normale, riservata, sempre attenta a tutto, puntuale, precisa! La facevo sempre ridere per questo suo essere “perfetta”. La battuta era riferita alla scuola elementare, secondo me la sua maestra si era dimenticata di dire che “solo” le tabelline andavano imparate a memoria! La classe era impeccabile, un congegno che funzionava senza il minimo errore. Francesca è cresciuta così, tutto doveva essere fatto senza nulla al caso. Era diventato il suo modo di essere, le piaceva, la faceva sentire bene, tutto sotto controllo! La piscina dietro casa, abitavamo a Pegognaga, un piccolo paese del basso mantovano, è diventata da subito il suo luogo preferito. L’acqua il suo amore. Appena poteva, un corso, nuoto libero, una qualche attività nell’acqua. Alle superiori sceglie, non abbiamo mai capito il perché, un istituto tecnico, chimica, fisica, meccanica erano le materie di una classe di oltre venti maschi e solo due ragazze. Non le è piaciuto da subito, è stato un anno di sofferenza che ha migliorato la prospettiva solo quando ha deciso di cambiare strada. Ovviamente non poteva uscire da perdente, fiera della sua promozione, con il “ma perché” degli insegnanti che erano molto contenti di lei, ha deciso di buttarsi nel mondo del cibo, della ristorazione e si è iscritta ad una scuola di ristorazione. L’ha scelta accuratamente, non voleva un istituto qualunque, voleva per la sua età e gli obblighi formativi quello più importante, ha deciso per la Scuola Alberghiera e di Ristorazione di Serramazzoni. Sono stati tre anni intensi dove si è messa alla prova vivendo di fatto fuori casa, nel convitto della scuola, con ragazzi e ragazze con i quali ha maturato un’esperienza importante. I vari stage in giro per l’Italia l’hanno messa in contatto con il mondo del lavoro, lasciando sempre un ottimo ricordo del suo modo di porsi. Ha completato la maturità all’Istituto Greggiati di Poggio Rusco in Provincia di Mantova ed ha deciso di lavorare con il cibo ma da un altro punto di vista. Si è iscritta all’Università di Modena e Reggio Emilia per seguire il Corso di Laurea in Scienze Erboristiche. Il conseguimento di vari brevetti come istruttore di nuoto e bagnino di salvataggio, accompagnavano gli esami all’università. Questo le ha permesso di essere autonoma dal punto di vista economico, i suoi lavoretti le concedevano quella libertà importante per sentirsi indipendente. Purtroppo a maggio 2015, dando colpa alle troppe cose che faceva, un nuovo brevetto, il lavoro in piscina, gli esami, sentiva una stanchezza che si faceva sempre più forte. Un esame, questa volta su di lei, ha evidenziato la presenza di un linfoma non Hodgkin che ad agosto 2016 ha vinto. Francesca ha continuato a studiare, a dare gli esami, fino a preparare la tesi. Sul letto di ospedale, dove prendeva appunti su tutto quello che le succedeva quotidianamente, si era promessa di raccontare la sua esperienza per essere utile a chi come lei l’avesse dovuta affrontare, voleva farlo con un libro. Questo è l’impegno che mi sono preso, un modo per continuare a sentirla vicina» (Marco Pirozzi)
IL PROGETTO DI RICERCA CHE SI STA FINANZIANDO
Valutazione di Poliammino-bis-maltoli (PABMs), una nuova classe di composti derivati dal maltolo, quale possibile strategia terapeutica antineoplastica, sia singolarmente che in combinazione con farmaci ad azione demetilante del DNA.
«È solo quando un problema di salute ci tocca da vicino che si scopre un mondo assolutamente nuovo, in cui si affastellano termini a tentare di spiegare cause e cure. C’interessiamo, approfondiamo, sentiamo pareri, una, due, molte volte. Scopriamo persone che fino al giorno prima vedevamo in un modo, essere malate esattamente come noi, allora crediamo di sentirci meglio, di non essere soli. Allo stesso tempo cominciamo a percepire gli altri con occhi diversi, come se ci giudicassero, se sapessero, allora ci sentiamo “persi”.
Quante volte ci viene chiesto di “aiutare” i meno fortunati, di donare “qualcosa”, di contribuire alla ricerca? D’istinto crediamo siano alla nostra portata le cure per tutto, come quando abbiamo mal di testa ed è sufficiente estrarre una compressa da un blister per tornare in forma in un momento. Purtroppo questo non è vero per ogni malattia e forse non lo sarà mai! La medicina ha fatto grandi passi avanti e problemi che fino a qualche anno fa erano irrisolvibili, oggi vengono affrontati con molta serenità. Ma c’è ancora tanto da fare! Offrire il proprio aiuto spesso non è misurabile, non si possono verificare subito i risultati, non si capisce quale anello si è “consolidato” con il nostro contributo e quanto importante è stato per garantire il proseguimento della ricerca verso la cura. Su queste basi abbiamo voluto rendere concreto, tangibile e verificabile chi siano i destinatari dei fondi che stiamo raccogliendo dal lavoro della Fondazione nata in memoria di Francesca Pirozzi. Lei avrebbe voluto così, pignola e precisa in ogni cosa, sarebbe stata contenta se, grazie a questo modo di ricordarla, di renderla “presente” fra noi, potessimo trovare una strada per la cura di malattie come la sua.
Ci abbiamo messo del tempo per capire cosa fare e come muoverci, abbiamo visto e sentito tanta gente con diverse possibili strade da seguire. Quando per caso, come sempre capitano le cose migliori, abbiamo incrociato un gruppo di ricercatori. Fino ad allora non avevamo un’idea chiara di cosa volesse dire essere ricercatori. Forse solo perché non ci avevamo mai pensato! Abbiamo scoperto che sono persone come noi, con una famiglia ed un lavoro che, a differenza di tutti noi, li porta ogni giorno a sperimentare modi e tecniche per ottenere risultati “tangibili” in una continua corsa contro il tempo. Ci siamo incontrati più volte, abbiamo voluto capire il loro lavoro e come potevamo essere d’aiuto in modo concreto. Ma prima di ogni cosa abbiamo voluto sapere cosa vuol dire fare ricerca. Abbiamo voluto capire il significato di ogni passaggio per pianificare un progetto reale, tangibile, misurabile. Non è detto che alla fine del percorso otterremo un risultato positivo in senso assoluto, ma è avendo chiara la meta da raggiungere e le singole tappe ben definite per arrivarci, che potremo comprendere il percorso fatto ed i risultati ottenuti. Da quando abbiamo presentato la Fondazione è sempre stata nostra intenzione destinare il ricavato delle varie attività non genericamente “alla ricerca” ma ad un soggetto preciso che è diventato il Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università di Urbino! La convenzione che abbiamo sottoscritto è tesa a finanziare un progetto di ricerca sullo sviluppo di nuove strategie sperimentali per studiare le caratteristiche epigenetiche di modelli biologici complessi. Tra le recenti scoperte, in collaborazione con un gruppo di chimica del Dipartimento di Scienze Pure ed Applicate dell’Università di Urbino, vi è stata la caratterizzazione di una nuova classe di molecole in grado d’interferire con la struttura del DNA e, si ipotizza, con la struttura della cromatina (sostanza presente nel nucleo delle cellule, composta da DNA e proteine), inducendo interessanti risposte biologiche nei modelli cellulari tumorali. Vogliamo parlare di questo progetto con un linguaggio comprensibile, chiunque vorrà contribuire deve avere chiari tutti i dettagli per poter festeggiare in modo consapevole ad ogni traguardo raggiunto!
Se la definiamo alla wikipedia «la ricerca scientifica è un’attività condotta da scienziati, avente lo scopo di scoprire, interpretare e revisionare fatti, eventi, comportamenti e teorie relative a qualunque ambito della conoscenza e dell’esperienza umana … usando metodi intersoggettivi e condivisi, cioè basati sul metodo scientifico». E poi cosa succede? Troviamo la medicina in farmacia? Il dottore ci fa la ricetta? Basta una veloce seduta in ospedale? Purtroppo non è così, il percorso è lungo e complesso, ce lo siamo fatti raccontare nel dettaglio, volevamo capire bene, per spiegarlo bene. Francesca, come le ragazze, i ragazzi e le persone che ci hanno lasciato, a causa di qualsiasi forma di tumore, leucemia o linfoma, purtroppo non torneranno indietro ma il cercare di evitare a tanti altri lo stesso destino, è il minimo al quale possiamo tendere. Prima di arrivare ad avere la “medicina” da somministrare devono essere condotti vari studi ed esperimenti in laboratorio, dapprima “in vitro” (utilizzando cellule “coltivate” in laboratorio) successivamente “in vivo” (sugli animali) e da ultimo, in caso di risultati positivi e dopo che sono state verificate sicurezza e tollerabilità del potenziale farmaco, sull’uomo ed ottenute le debite autorizzazioni, iniziando la sperimentazione su soggetti malati. In questa fase, detta di ricerca clinica, si verifica se sia possibile ottenere il blocco della progressione della malattia, fino anche ad una sua regressione o solo migliorando la qualità della vita del paziente.
I ricercatori del Dipartimento di Scienze e Biomolecolari e del Dipartimento di Scienze Pure ed Applicate dell’Università degli Studi di Urbino, hanno identificato e sviluppato una classe di composti (poliammino-bis-maltoli-PABMs) caratterizzati dalla capacità d’indurre una spiccata attività biologica nei confronti delle cellule tumorali. Nel corso di questi ultimi anni, gli studi condotti hanno portato ad importanti risultati sperimentali pubblicati su riviste scientifiche internazionali di acclarata fama.
Valutazione di Poliammino-bis-maltoli (PABMs), una nuova classe di composti derivati dal maltolo, quale possibile strategia terapeutica antineoplastica, sia singolarmente che in combinazione con farmaci ad azione demetilante del DNA è il titolo del progetto di ricerca che abbiamo deciso di finanziare che sostanzialmente è focalizzato a:
- Approfondire il meccanismo molecolare alla base dell’attività biologica dei PABMs nei confronti di modelli cellulari umani (rappresentativi non solo di malattie del quadro emopoietico – come leucemie e linfomi – ma anche di tumori solidi allo stato attuale ancora scarsamente o nulla responsivi alle terapie note, quali il carcinoma mammario triplo negativo ed il glioblastoma multiforme). Solo capendo in maniera dettagliata il loro meccanismo d’azione si potrà avere la possibilità di modificarli e di renderli ancora più efficaci.
- Verificare in vitro se la combinazione terapeutica dei PABMs con farmaci demetilanti del DNA attualmente utilizzati in oncologia, possa rendere quest’ultimi ancora più efficaci e, potenzialmente, allargare il loro utilizzo nei confronti di altre neoplasie ad oggi non responsive alle terapie convenzionali. Ci sono ancora molte forme di tumore che non beneficiano di terapie efficaci ed una delle strategie è quelle di rendere biologicamente attive le molecole già in nostro possesso combinandole con altre che ne potenziano l’attività
- Verificare in vivo la possibilità che i PABMs (da soli od in regime di co-trattamento con le molecole demetilanti) possano essere tollerati ed efficaci in modelli tumorali murini (derivanti da cellule tumorali di soggetti malati. Il progetto molto dettagliato è a disposizione di chiunque lo volesse vedere, in questa pagina abbiamo reso pubblica solo una sintesi che ne fotografa il quadro generale. Sarà solo al raggiungimento dell’obiettivo che potremmo pensare di continuare il lavoro per “aiutare” la ricerca verso la sperimentazione clinica. Per questo tutta l’attività è costantemente monitorata e saranno resi pubblici tutti i contenuti ed i dati ottenuti sia sul nostro sito che in eventuali pubblicazioni. Noi ci crediamo!» (lo staff di ricerca della Fondazione Francesca Pirozzi).
Alessandro Poggiani
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