Luigi Zampa. Dalla parte del pubblico al Cinema Trevi

L’incontro verrà preceduto dalla proiezione di due film di Luigi Zampa (Ladro lui, ladra lei -1958 -, alle ore 17.00, e Gli anni ruggenti - 1962 -, alle ore 19.00) e seguito (alle 21.45) da quella di un terzo film, Il medico della mutua (1968).
«Il film d’arte è una bellissima cosa ma resterà sempre un’opera d’eccezione, è un film che ci facciamo noialtri e poi andiamo a vederlo strizzando l’occhio e schiccando la lingua. Ma il problema interessante del nuovo cinema italiano era vedere se il linguaggio dei Visconti, De Sica, Rossellini, Castellani riusciva a proliferare, se da stile poetico riusciva a diventare lingua corrente, e a dar vita a una buona serie di drammi popolari e di farse popolari di produzione media. Allora si avrebbe avuto la prova che non era solo un movimento culturale ma era dialetticamente legato a un movimento d’esigenze e di gusti del pubblico. Perciò per me il regista più interessante è Luigi Zampa proprio per questa sua capacità di dare immagini tangibili agli umori, al moralismo pessimista dell’italiano medio, al suo giudizio su epoche recenti, e creare maschere contemporanee comiche o drammatiche, dall’Onorevole Angelina col marito poliziotto al funzionario di ministero di Anni facili con la moglie ex donna fatale del regime. Il suo incontro con Brancati è stato particolarmente fortunato, ma la formula delle commedie d’attualità non è il solo registro di Zampa: lo si è visto in Processo alla città rappresentare un complesso e drammatico nodo di rapporti sociali con grande sicurezza. Nel cinema italiano che trae il suo maggior vigore dalla formazione letteraria e culturale dei suoi artisti migliori, Zampa ha un contatto con la realtà che non è di tipo letterario, è un regista che viene dalla parte del pubblico, non seguendolo passivamente ma interpretando e in qualche misura dirigendo le sue opinioni con un intento di moralità un po’ scettica, un po’ romanesca, ma che è anch’essa un fatto reale». (Italo Calvino, 1954)
Le parole di Italo Calvino rivivono per rendere nuovamente omaggio al grande Luigi Zampa, regista sottovalutato e forse anche un po’ incompreso, in occasione di un libro collettivo, a cura di Orio Caldiron e Paolo Speranza, in cui il regista viene sviscerato e analizzato da varie prospettive, l’unica chiave possibile per accostarsi alla sua poliedrica attività di regista e scrittore lontano dalle luci dei riflettori. Ma sempre “dalla parte del pubblico”.
«Quando se ne va nell’agosto 1991, la critica si congeda con Luigi Zampa - ormai lontano dal set da oltre un decennio - riproponendo, al di là degli encomi di circostanza, l’atteggiamento riduttivo che gli aveva riservato nel corso di una lunga carriera ricca di titoli importanti ma evidentemente insufficienti a ammettere nel pantheon dei grandi un regista estraneo al mondo cattolico come a quello comunista. Se l’establishment borghese l’aveva avversato a causa dei suoi film di denuncia satirica, la sinistra, spesso insensibile agli sberleffi della comicità, non l’aveva difeso che in parte, mentre entrambi gli rimproveravano il bozzettismo, la sciatteria stilistica, i risentimenti moralistici. Sin dai primi film del dopoguerra il suo tratto distintivo sembra essere il richiamo all’attualità. Insieme alla scelta di muoversi nell’immediatezza, piazzando la macchina da presa tra le case bombardate, nelle balere in cui gli americani ballano con le “segnorine”, nella borgata in cui manca l’acqua e tutto il resto. Lo spirito popolaresco del racconto si salda al rapporto con la cronaca che gli consente di lavorare sull’oggi in termini che assicurano ai suoi film il valore aggiunto del documento». (Orio Caldiron, dalla prefazione a Orio Caldiron e Paolo Speranza - a cura di -, Luigi Zampa. Dalla parte del pubblico, Cinemasud, Avellino 2018)
«Tra Contestazione generale e Bisturi, la mafia bianca intercorrono appena tre anni e un’ulteriore commedia di successo quasi interamente ambientata - e girata - al di fuori dei confini nazionali […]. Un lasso temporale, invero breve, che però coincide con un periodo particolarmente violento e confuso della storia italiana. Il 1969 si chiude con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, meglio nota come strage di Piazza Fontana - 12 dicembre 1969: sedici morti e ottantotto feriti. Il triennio successivo - 1970-72 - è altresì attraversato da instabilità politica e malessere sociale, a cui si sommano attentati di non sempre chiara matrice politica, la nascita di inedite organizzazioni terroristiche – Brigate Rosse in primis -, il dilagare della criminalità e il manifestarsi di forme sempre più virulente e invasive di corruzione. Ed è a unadi queste forme di corruzione, forse la più ignobile in assoluto - perché lucra letteralmente sulla pelle e la carne di inermi malati -, che Zampa dedica Bisturi, la mafia bianca. Se nel precedente Il medico della mutua la scena era occupata dallo spericolato ma simpatico dottor Guido Tersilli - Alberto Sordi -, un arrampicatore sociale intento ad accaparrarsi - con metodi non sempre ortodossi – un numero sempre maggiore di mutuati, in Bisturi, la mafia bianca, secondo Tullio Kezich una sorta di “versione drammatica” di Il medico della mutua, tra efficienti cliniche private, austere aule universitarie e scalcagnati ospedali pubblici giganteggia la ieratica figura del potente – e disonesto - primario e barone universitario professor Daniele Vallotti - Gabriele Ferzetti. La malasanità che alimenta speranze e semina). morte, l’osteggiata riforma sanitaria - che vedrà la luce circa un lustro dopo l’uscita del film -, gli intrighi, gli imbrogli e le autentiche malefatte di cui si nutre la sanità pubblica e privata, i servilismi e le ignominie di una classe medica avida di potere e denaro: il film di Zampa è un infuocato libello che non lesina critiche all’intero comparto sanitario, un micidiale atto d’accusa contro un ambiente che considera legittimi e giustificati financo ricatti e omicidi. Persino il dottor Giordani - Enrico Maria Salerno - e Suor Maria - Senta Berger -, personaggi all’apparenza positivi, non sono esenti da debolezze - l’alcolismo e il sentimentalismo - che inficiano la loro moralità. Neppure la didascalia finale, che esalta l’eroismo disinteressato di generosi medici missionari come Albert Schweitzer, e l’intermezzo comico animato da Luciano Salce e Antonella Steni riescono ad attenuare l’impietosa denuncia di Zampa. Considerato dalla critica militante del tempo “un fotoromanzo retto da nobili intenzioni” - Stefano Reggiani -, “girato senza tanto guardare per il sottile” (Tullio Kezich), “che scade in eccessi e forzature tali da far apparire inverosimili i fatti narrati” - Segnalazioni Cinematogrrafiche del Centro cattolico Cinematografico - Bisturi, la mafia bianca è in realtà un’opera che se da un lato onora “quella capacità di indignazione” che Zampa in un’intervista a Lietta Tornabuoni giustamente rivendica al suo cinema, dall’altro, come sottolinea Alberto Pezzotta in Ridere civilmente. Il cinema di Luigi Zampa, rientra nel novero di quei “film coevi di tema molto diverso” caratterizzati da una forte radicalità - di contenuti e talvolta anche di linguaggio». (Franco Grattarola, Gli anni della violenza in Orio Caldiron e Paolo Speranza - a cura di -, Luigi Zampa. Dalla parte del pubblico, Cinemasud, Avellino 2018)
«Questo film è, secondo me, uno dei più esilaranti mai interpretati da Alberto Sordi. Considerato a torto un'opera minore, sta al comico romano esattamente come Totò, Peppino e la malafemmina sta al Principe Antonio De Curtis. Film senza ambizioni di "contenuto", ma carico di una comicità esplosiva. In verità in questo lavoro di Luigi Zampa si sente anche la tristezza della povertà delle borgate romane. Ma non è questo che lo rende memorabile. È Sordi nella parte di Cencio, ladro da più generazioni, geniale e sfortunato come il Gatto Silvestro quando cerca di accoppare l'insopportabile Titti. E ci sono delle sequenze assolutamente straordinarie, tra le più divertenti, per me, della storia della commedia all'italiana». (Walter Veltroni su Ladro lui, ladra lei - 1958).
«Si misura ancora una volta con il fascismo ma con frequenti riferimenti all'oggi. Il podestà e il segretario politico spostano strutture, vespasiani, uomini, mucche per nascondere la mistificazione del regime e insieme le loro rapinose ruberie in un grottesco balletto allestito per Omero Battifiori, il mite assicuratore scambiato per un pezzo grosso della capitale in incognito, secondo lo spunto d'avvio dell'ispettore gogoliano. […] La carnevalizzazione del regime - la scuola con le mostruose maschere a gas, lo spettacolo di rivista che polemizza con le sanzioni, la caotica organizzazione dell'adunata, il primo colpo di piccone che finisce con il demolire l'intero edificio - non potrebbe essere più sarcastica nel demistificare l'artificiosa impalcatura con cui il fascismo occulta la realtà nazionale». (Orio Caldiron su Gli anni ruggenti - 1962 -, una fra le migliori performance cinematografiche di Nino Manfredi).
«Con i suoi tre miliardi d'incasso smentisce la profezia catastrofica di Dino De Laurentiis convinto che il film non avrebbe fatto una lira perché gli italiani hanno paura delle malattie. Si prende il via dal romanzo di Giuseppe D'Agata dedicato al sistema sanitario visto dall'interno, ma la sceneggiatura scritta con Sergio Amidei si basa su una vera e propria inchiesta in grado di fronteggiare le querele. Il film coniuga con felice inventiva la vivacità della commedia che sa far ridere al momento giusto con lo spirito d'indagine del giornalismo d'assalto». (Orio Caldiron su Il medico della mutua - 1968 -, con Alberto Sordi in uno fra i ruoli più celebri e significativi della sua lunga carriera).
Paolo Bianchini (Roma, 1933), fra il 1953 ed il 1967, lavorò come assistente alla regia e poi come aiuto regista in ben quattordici film diretti da Luigi Zampa (Anni facili - 1953 -, La patente - 1954 -, episodio di Questa è la vita, La romana - 1954 , L’arte di arrangiarsi - 1954 -, Ragazze d’oggi - 1955 -, Tempo di villeggiatura - 1956 -, Ladro lui, ladra lei - 1958 -, Il magistrato - 1959 -, Il vigile - 1960 -, Gli anni ruggenti - 1962 -, Frenesia dell’estate - 1964 -, Una questione d’onore - 1966 - e Il marito di Olga - 1967 -, episodio de I nostri mariti) e in un’altra cinquantina di film diretti da registi quali Mauro Bolognini, Luigi Comencini, Eduardo De Filippo, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Mario Monicelli, Giuseppe Patroni Griffi ed altri. Negli anni Sessanta ha collaborato alle sceneggiature di 7 uomini d’oro (1967) di Marco Vicario e Ad ogni costo (1967) di Giuliano Montaldo, proseguendo poi la sua attività come regista. All’inizio degli anni Settanta passa alla pubblicità, lavorando per grandi agenzie internazionali e dirigendo circa duemila spot pubblicitari sia in Italia sia all’estero nel corso di oltre vent’anni. Alla metà degli anni Novanta abbandona la pubblicità e torna al cinema, scrivendo e dirigendo La grande quercia (1997), che ha avuto numerosi riconoscimenti in vari festival internazionali. Tuttavia non riuscirà a farlo vedere al suo maestro, Luigi Zampa, scomparso qualche anno avanti.
Luigi Zampa (1905-1991) è stato uno fra i più grandi registi italiani della sua generazione. Agli studi universitari di ingegneria preferì dapprima l’attività di commediografo e poi, dopo il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, quella di sceneggiatore, con numerosi copioni di film dei “telefoni bianchi” (fra cui Mille lire al mese - 1939 - di Max Neufeld, Un mare di guai - 1939 - di Carlo Ludovico Bragaglia). Passato dietro alla macchina da presa, esordì con la commedia L’attore scomparso (1941), il cui livello, come anche le pellicole successive (Fra Diavolo - 1942 -, C’è sempre un ma! - 1942 -, Signorinette - 1942 -, L’abito nero da sposa - 1945 -, Un americano in vacanza - 1946), non si allontanava di molto dalla produzione leggera di quegli anni. Nel dopoguerra, con Vivere in pace (1947), viene incluso dalla critica - soprattutto straniera - fra i rappresentanti del neorealismo. Nel rinato cinema nazionale, Luigi Zampa è stato a mezza strada fra la satira di costume, soprattutto grazie alla collaborazione con lo scrittore siciliano Vitaliano Brancati (1907-1954), sceneggiatore di film (Anni difficili - 1948 -, Anni facili - 1953 - e L’arte di arrangiarsi - 1954) che sono acute cavalcate attraverso i trasformismi e gli opportunismi in epoca fascista e oltre, e la polemica sociale. In quest’ultimo ramo, menzione speciale va senz’altro a Processo alla città (1952, distribuito anche con il titolo di Processo alla camorra), lucida esplorazione dell’endemica infiltrazione del fenomeno camorrista nella Napoli d’inizio Novecento. In seguito impiega le sue ottime doti di osservatore della società in versioni cinematografiche di opere letterarie (La romana - 1954 -, tratto dal libro omonimo di Alberto Moravia) ed in satire della vita moderna (Il vigile - 1960 -, Una questione d’onore - 1966), a volte limitandosi a prodotti più convenzionali (Ragazze d’oggi - 1955 -, Tempo di villeggiatura - 1956 -, La ragazza del Palio - 1957 -, Frenesia dell’estate - 1964 -, Il marito di Olga - 1966, episodio de I nostri mariti, Le dolci signore - 1967 -, Letti selvaggi - 1979). Alla fine degli anni Sessanta il suo cinema sposa sempre più la causa della denuncia di vizi e malcostumi, piegandola alle esigenze di una buona commerciabilità (Il medico della mutua - 1968). Negli anni Settanta dirige i suoi ultimi film, ovvero la commedia amara Bello onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971) e i drammatici e cupi Bisturi, la mafia bianca (1973), Gente di rispetto (1975) e Il mostro (1977). Fra le altre pellicole ricordiamo L’onorevole Angelina (1947), Campane a martello (1949), Cuori senza frontiere (1950), È più facile che un cammello… (1950), Signori, in carrozza! (1951), Isa Miranda (1953), episodio di Siamo donne, La patente (1954), episodio di Questa è la vita e tratto dalla novella omonima di Luigi Pirandello, Ladro lui, ladra lei (1958), Il magistrato (1959), Gli anni ruggenti (1962), Contestazione generale (1970). Negli anni Ottanta scrive tre libri ed una raccolta di poesie.
Luigi Zampa. Dalla parte del pubblico, a cura di Orio Caldiron e Paolo Speranza, pubblicato da Cinemasud (Avellino), interventi di Vito Attolini, Paolo Bianchini, Ennio Bispuri, Orio Caldiron, Raffaele D Berti, Mario Gerosa, Franco Grattarola, Enrico Lancia, Anton Giulio Mancino, Marcella Marmo, Giovanni Memola, Domenico Monetti, Luca Pallanch, Paolo Speranza e Massimo Tellini, è disponibile in libreria e online da febbraio 2018.
Alessandro Poggiani
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