Un libro da non dimenticare: Cose di cosa nostra di Giovanni Falcone

«Gli uomini passano, le idee restano. Restano lo loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini» (Giovanni Falcone).
Un libro che ha segnato un’epoca. Cose di cosa nostra (1991) raccoglie delle interviste fatte a Giovanni Falcone (1939-1992) dalla giornalista francese Marcelle Padovani.
Le indimenticabili (e indimenticate, sperando che lo siano ogni anno di più) parole con cui Giovanni Falcone mise a nudo il sistema della criminalità organizzata, illustrandone i meccanismi e le articolazioni di potere, il perverso sistema di valori, le modalità di reclutamento dei nuovi affiliati, le attività illecite, i canali di accumulazione e di riciclaggio del denaro, le strategie di intimidazione e i rapporti con la politica. Una vibrante dichiarazione di impegno, consegnata alla giornalista Marcelle Padovani nel corso delle interviste che per la prima volta andarono ad intaccare il muro di omertà che proteggeva i boss di cosa nostra. E, contemporaneamente, un’irripetibile testimonianza, rilasciata in quel “tempo sospeso” che precedette di poco la strage di Capaci del 23 maggio 1992 e che ha permesso di salvare la consistenza storica delle informazioni e delle intuizioni di G. Falcone, lasciate in eredità alla lotta contro il crimine organizzato.
La documentazione più concreta dell’impegno lungimirante di un magistrato fuori dal comune, che serve per raccontare quello che è stato conquistato, ma anche quello che è stato trascurato, e fornisce un preciso programma di azione, ancora oggi modello imprescindibile per la lotta alla mafia.
Il libro è strutturato con un prologo - in cui vengono dati alcuni cenni biografici su Giovanni Falcone ed in cui si parla delle sue indagini contro cosa nostra - seguito da sei capitoli.
Capitolo I: Violenze
Il capitolo parla delle nuove armi di cui dispone cosa nostra, come ad esempio gli AK-47 o i bazooka e non più la lupara. Poi passa al racconto dei metodi di assassinio dei mafiosi ed ai grandi omicidi dei boss durante la seconda guerra di mafia. G. Falcone parla anche dei suoi primi anni in magistratura, quando tutti affermavano che “la mafia non esiste”.
Capitolo II: Messaggi e messaggeri
Falcone parla del linguaggio e dei segni usati dai mafiosi. Poi passa ad affrontare il fenomeno del pentitismo, soffermandosi soprattutto su Tommaso Buscetta.
Capitolo III: Contiguità
In questo capitolo il giudice procuratore G. Falcone spiega come la mafia e la società siciliana fossero intrecciate fra loro. Rilevante è una citazione di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Premio Strega 1959 e da cui, quattro anni dopo, fu tratto il film omonimo diretto da Luchino Visconti ed interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Serge Reggiani, Rina Morelli, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Giuliano Gemma, Mario Girotti - non ancora Terence Hill - e Ottavia Piccolo) in cui il principe Fabrizio di Salina definisce il popolo siciliano «stanco e vecchio, vecchissimo». Inoltre viene ridefinito il concetto di cosa nostra («Il dialogo Stato/Mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti-stato, ma piuttosto un'organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico»). Nello stesso capitolo emerge la differenza fra un normale magistrato e G. Falcone. Falcone nacque a Palermo, in Sicilia. Le origini di Falcone sono le stesse di molti altri cosiddetti “uomini d’onore”. Nel corso degli interrogatori, lui sa come affrontarli e come farli parlare mettendoli a proprio agio.
Capitolo IV: Cosa Nostra
Il quarto capitolo espone le caratteristiche di tale “istituzione”. In Sicilia i mafiosi sono forse più di cinquemila. Tuttavia, questi vengono scelti dopo una durissima e accurata selezione. L’uomo d’onore, - o meglio, il candidato a diventare “uomo d’onore” - deve rispettare delle regole, delle leggi ferree. Ad esempio essere violenti, “valorosi”, in grado di tenere in mano una pistola calibro 38 e di usarla.
Capitolo V: Profitti e perdite
Nel capitolo G. Falcone parla dei commerci di droga fra cosa nostra residente in Sicilia e quella oltreoceano (negli Stati Uniti), specificando poi le difficoltà che sorgevano fra queste due, che ormai erano separate l’una dall’altra.
Capitolo VI: Potere e poteri
L’ultimo capitolo del libro espone vari atteggiamenti degli investigatori della mafia che lavoravano con G. Falcone, ed anche dei mafiosi. Secondo il giudice, lo Stato aveva le capacità di combattere i criminali mafiosi, ma non ci riusciva, in quanto li vedeva come più pericolosi. Tuttavia, l’arresto e le confessioni di vari mafiosi convinse lo Stato a paragonarli a semplici criminali portando Falcone ad affermare: «In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere».
Giovanni Falcone (1939-1992), entrato in magistratura molto giovane all’inizio degli anni Sessanta, a partire dal 1964 fu sostituto procuratore e poi giudice presso il tribunale di Trapani (dal ’67 al ’78). Trasferito a Palermo, fu giudice fallimentare e poi istruttore fino al 1989, e poi procuratore aggiunto della Repubblica. Acutissimo e profondo conoscitore del fenomeno mafioso ed ispiratore di importanti processi alla criminalità organizzata, a partire dal marzo 1991 fu Direttore Generale degli affari penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia e, in tale veste, elaborò nuove forme di collaborazione internazionale nella lotta al crimine. Come purtroppo è noto, Giovanni Falcone muore assassinato a Capaci (PA) in un attentato mafioso il 23 maggio 1992, pochi giorni dopo il suo cinquantatreesimo compleanno. Insieme a lui, nello stesso attentato, morirono sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo (1945-1992) e tre agenti della scorta: Rocco Dicillo (1962-1992), Antonio Molinaro (1962-1992) e Vito Schifani (1965-1992).
Marcelle Padovani (classe 1947), giornalista francese, è attiva in Italia fin dagli anni Settanta. Nel 1970 abbandona l’«Express» per il «Nouvel Observateur». All’inizio della sua carriera è incaricata di seguire il Partito Comunista francese e gli altri partiti di sinistra (Gauche Prolétarienne, Ligue Communiste Révolutionnaire, Parti Socialiste Unifié). Incaricata di seguire le elezioni municipali del 1971, non si occupa più del Partito Socialista e sosterrà il Ceres, in particolar modo dopo il congresso di Epinay. Apprezzando l’avvicinamento a sinistra del Ceres ed il suo leader - che intervista nel novembre del ’71 -, si iscrive insieme a René Backmann e Lucien Rioux. Tesse anche raporti con François Mitterrand, intervistandolo dal ’71 al ’73. Si occupa anche del sociale e dei sindacati, in particolar modo della CFDT, di cui intervista Frédo Krumnov, uno fra i leader dell’estrema sinistra. In occasione di alcuni reportages in Italia, i rapporti che tesse con Bruno Trentin, all’epoca segretario della Cgil, la portano a decidere di trasferirsi in Italia come corrispondente del suo giornale. Nel ’74 smette di occuparsi di politica interna - eccezion fatta per qualche articolo sul Partito Comunista Francese - per dedicarsi interamente all’attualità italiana. Si occupa della sinistra ed in particolar modo del Partito Comunista Italiano, pubblicando La lunga marcia (Calmann-Lévy, 1977). Si occupa anche del “gauchismo” e del Partito Socialista Italiano, intervistando Bettino Craxi nel luglio del ’76. Nel maggio 1981 torna in Francia per la campagna presidenziale, con cui F. Mitterrand diventerà il nuovo Presidente della Repubblica francese. Fra i suoi libri ricordiamo La Sicilia come metafora (Mondadori, 1979), in cui intervista Leonardo Sciascia (1921-1989), Les dernières années de la mafia (Gallimard, 1987), Mafia, mafias (Editions Gallimard, 2009).
Cose di cosa nostra (1991) di Giovanni Falcone (con Marcelle Padovani), pubblicato da BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) nella collana “Saggi”, è disponibile in libreria e online (in questa nuova edizione BUR) da maggio 2017.
Alessandro Poggiani
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