Inhabited Deserts: a Todi il viaggio fotografico di John Pepper

La mostra, allestita nelle sale del Museo Civico e Pinacoteca, è curata da Gianluca Marziani e da Kirill Petrin.
Si tratta di una formidabile avventura umana racchiusa in oltre tre anni di lavoro e diciottomila chilometri percorsi tra Stati Uniti, Russia, Oman, Iran, Israele, Egitto e Mauritania, luoghi e deserti che sono espressione di complessità e diversità emotiva oltre che geografica.
In cinquantatré immagini analogiche della sua Leica M6, senza artifici, nel bianco e nero dei grandi reporter, John R. Pepper, fotografo e artista a tutto tondo, ci narra il suo viaggio tra i più remoti deserti del mondo facendo scoprire, a chi lo segue in questa sua avventura visuale, qualcosa di nuovo su se stesso. Le sue non sono fotografie di viaggio, non conducono ai luoghi reali in cui sono state prese, ma portano altrove, in un luogo nuovo, dove la mente e l’immaginazione possono ambientarsi. Ciò che a prima vista può apparire arido, morto, terrificante, misterioso, freddo, vuoto, insidioso e inabitabile, cambia misteriosamente davanti agli occhi dello spettatore assumendo molteplici forme completamente diverse. I contrasti di luce e ombra, bianco e nero, le armonie dei grigi, la semplicità delle forme e la complessità dei dettagli trasformano le fotografie in potenti metafore della condizione umana e lo fanno paradossalmente nella totale assenza di presenza umana.
«I deserti hanno sempre affascinato i fotografi», spiega Pepper. «La ragione ultima che spesso li porta nei deserti è catturare la bellezza del paesaggio al tramonto o una bella formazione di nubi. È una bella sfida, ma non era quello che cercavo io. Io volevo andare oltre. La mia idea, il mio intento, è stato usare il deserto come il pittore sfrutta la verginità di una tela bianca; così, attraversando vari deserti in diversi luoghi del mondo ho cercato di scoprire quali immagini si offrivano al mio sguardo; a volte erano visioni figurative, altre volte astratte. Non sono io che cerco l’immagine, è la fotografia che trova me. Alla fine di questa ricerca subliminale, spero, la mia fotografia, la mia “tela” si fa espressione del mio essere profondo, delle mie percezioni di artista».
Il curatore della mostra è Gianluca Marziani che descrive il deserto, soggetto privilegiato degli scatti di Pepper, come «lo spazio ancestrale prima dello spazio abitato, il vuoto più denso del Pianeta, geografia evocante che culla mitologie seminali». Ancora: «Pepper sfugge alle arguzie da software digitale, evitando il maquillage d’artificio e sposando il tema analogico in maniera sensibile. Modula le scale dei grigi con rabdomantica nitidezza, profilando le dune come fossero lame, sezionando i contrasti con ambivalenze semantiche, intuendo l’istante in cui il sole disegna senza sbavature».
Una lunga e attenta ricerca che si concretizza nel momento ultimo dello scatto. In questo senso immagini apparentemente “immobili” trasportano lo spettatore in una dimensione nuova, fatta di interpretazione, suggestione, visioni che, secondo il critico russo e co-curatore Kirill Petrin «esplorano il confine tra mondo umano e mondo desertico. Le linee degli impianti elettrici o la strada, elementi delicatamente assimilati dalle attigue dune di sabbia, diventano occasione per apprezzare il contrasto tra artefatto e mondo naturale, per pensare all’impatto che la geometrica presenza umana esercita sulle curve armoniche del deserto. In tal senso, una fotografia spicca sulle altre: orme di piedi nudi e di stivali su un terreno arido».
Il percorso espositivo sarà accompagnato da video che condividono l’avventuroso backstage per cogliere quell’attimo fermato dallo scatto, oltre a interviste con le guide e i personaggi incontrati.
John Randolph Pepper (Roma, 1958) è un fotografo italo-americano, sceneggiatore, attore, regista teatrale e cinematografico, proveniente da una famiglia di artisti: Beverly Pepper (scultrice), Jorie Graham (poetessa), Curtis Bill Pepper (giornalista e scrittore), che gli regalò, quando aveva dodici anni, la sua prima macchina fotografica: una Pentax.
Si è formato sotto l’influenza di Henri Cartier-Bresson, Sam Show, John Ross e David Seymour, che frequentavano la sua famiglia. A soli quattordici anni diventa l’assistente di Ugo Mulas che gli insegna le basi della Street Photography. Per trent’anni ha continuato a dedicarsi alla fotografia mentre dirigeva lavori per il cinema e il teatro.
La sua mostra itinerante Inhabited Deserts, per la prima volta in Umbria, ha toccato dal 2017 molte tappe in tutto il mondo.
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