“Hollywood”. Vento di teatro e cinema classico al Teatro Ambra Jovinelli

Antonio Catania, Gigio Alberti e Gianluca Ramazzotti in "Hollywood" Antonio Catania, Gigio Alberti e Gianluca Ramazzotti in "Hollywood" foto Valerio Ziccanu Chessa
Lo spettacolo “Hollywood” di Ron Hutchinson, è sbarcato a Roma. Da giovedì 17 a domenica 27 novembre 2016 è andato in scena al Teatro Ambra Jovinelli con adattamento e regia di Virginia Acqua e le interpretazioni di Antonio Catania, Gigio Alberti, Gianluca Ramazzotti e Paola Giannetti.

Hollywood, 1939. Ufficio del potente produttore David O. Selznick. Il sipario si alza.

Selznick (il futuro produttore di tre film americani di Alfred Hitchcock (Rebecca - La prima moglie - 1940 -  tratto dall’omonimo libro di Daphne du Maurier e interpretato da Joan Fontaine, Laurence Olivier e Judith Anderson, Il sospetto - 1941  - con Joan Fontaine e Cary Grant, e il noir psicoanalitico Io ti salverò - 1945 - tratto dal libro di Frances Beeding The House of Doctor Edwards) e del western Duello al sole - 1946 - di King Vidor, interpretato da Gregory Peck, Jennifer Jones e Joseph Cotten), sta realizzando Gone With The Wind (Via col vento), la più colossale e costosa opera cinematografica mai girata.

Tuttavia, dopo oltre due anni di preparazione e cinque settimane di riprese, con costi stratosferici che non fanno che aumentare sempre più, con gli attori e le attrici (Vivien Leigh, Clark Gable, Leslie Howard, Olivia de Havilland, Hattie MacDaniels - la quale sarà la prima attrice di colore a vincere un Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista - e tutti gli altri/altre) attivi sul set da oltre un mese, e con George Mayer, patron della Metro Goldwyn Mayer (nonché suo suocero) che lo pressa/scassa continuamente, Selznick pensa bene di prendere una decisione “folle”: fermare tutto e ricominciare da zero. Il film non gli piace, a suo avviso non sta venendo come si deve, la sceneggiatura di Sidney Howard è troppo lunga e il regista, il suo amico fraterno George Cukor - (Febbre di vivere - 1932 -, Piccole donne - 1933 -, David Copperfield - 1934 -, Il diavolo è femmina - 1935 -, Margherite Gauthier - 1936 - Incantesimo - 1938 -, Scandalo a Philadelphia - 1940) è troppo fiacco.

Questo l’antefatto. È Storia. Così come è Storia tutto quello che seguirà e che Ron Hutchinson descrive nella sua commedia del 2004.

David O. Selznick convoca nel suo ufficio Victor Fleming, notissimo regista dell’epoca (ricordiamo Lo schiaffo - 1932 -, interpretato da Clark Gable, Jean Harlow e Mary Astor, e che verrà rifatto nel ’53 con Mogambo di John Ford; il celeberrimo Il mago di Oz - 1939 -, con Judy Garland e Frank Morgan; il futuro Il dottor Jekyll e Mr Hyde - 1941 -, con Spencer Tracy e Ingrid Bergman), per affidargli la regia (costringendolo così ad allontanarsi temporaneamente dal set del già citato The Wizard of Oz, che stava dirigendo) e lo sceneggiatore Ben Hecht (Il gran Gabbo - 1929 - di James Cruze e Erich Von Stroheim, Lo spettro verde - 1929 - di Lionel Barrymore, Scarface - Lo sfregiato - 1932 - di Howard Hawks e Richard Rosson, La regina Cristina - 1933 - di Rouben Mamoulian, Partita a quattro - 1933 - di Ernst Lubitsch, Villa Villa! - 1934 - di Jack Conway, La costa dei barbari - 1935 - di Howard Hawks e William Wyler, Nulla sul serio - 1937 - di William A. Wellman, Gunga Din - 1939 - di George Stevens, e futuro autore di film quali la commedia La signora del venerdì - 1940 - di Howard Hawks, Il cigno nero - 1942 - di Henry King, il thriller psocoanalitico Io ti salverò - 1945 - di Alfred Hitchcock e anch’esso prodotto da David O’ Selznick, il noir Notorious - L’amante perduta - 1946 -, anch’esso diretto da Alfred Hitchcock e prodotto da David O. Selznick, il noir Il bacio della morte - 1947 - di Henry Hathaway, Il segreto di una donna - 1949 - Di Otto Preminger, Sui marciapiedi - 1950 -, anch’esso diretto da O. Preminger, la commedia Il magnifico scherzo - 1952 - di Howard Hawks , Ulisse - 1954 - di Mario Camerini, il western Il cacciatore di indiani - 1955 - di Andre De Toth, Addio alle armi - 1957 - di Charles Vidor e John Huston, tratto dal celeberrimo libro di Ernest Hemingway già portato sul grande schermo nel 1932 da Frank Borzage), noto come professionista abile e velocissimo, per fargli riscrivere l’intera sceneggiatura ripartendo da zero. Tuttavia, Ben Hecht non ha mai letto (caso quasi unico negli Stati Uniti dell’epoca) il lunghissimo libro bestseller di Margaret Mitchell da cui il film verrà tratto e conosce pochissimo i personaggi.

Selznick, con follia non inferiore alla sua caparbia determinazione, decide di costringere Fleming e Hecht a rinchiudersi nel suo ufficio (vi rimarranno per cinque giorni e cinque notti andando avanti a banane e arachidi) per riscrivere tutto e, per aiutare Hecht a lavorare con una trama a dir poco articolata, lui e Fleming gli mimeranno tutti i personaggi e le situazioni del libro.

Quello che avvenne nella realtà, nella commedia di Hutchinson diventa l’occasione per momenti di comicità assoluta. Tuttavia, leggendo fra le righe e guardando al di là del lato più divertente, nel testo troviamo molto di più. Sullo sfondo di una situazione “surreale” (sia pur reale) troviamo l’antisemitismo di cui David O. Selznick è vittima pur facendo parte delle cosiddetta “alta società” americana - che non lo accetterà mai fino in fondo, considerandolo sempre come “l’ebreo” -, mentre dall’Europa arrivano inquietanti echi nazifascisti (siamo nel febbraio 1939 e la Seconda guerra mondiale, come è tristemente noto scoppierà nel settembre dello stesso anno).

Ci accorgiamo così di quanto, fondamentalmente, i caratteri di Rossella O’ Hara (la celeberrima protagonista del libro e del film, interpretata da Vivien Leigh) e di David O. Selznick si somiglino e le loro storie personali si fondano e procedano in modo drammaticamente parallelo. Storie fatte di ribellione, di volontà di riscatto, di feroce determinazione a farcela a tutti i costi (motivo per cui, negli anni/decenni successivi intere generazioni di donne cresceranno guardando a Rossella O’Hara come ad un modello, ad un riferimento costante) in un mondo a dir poco ostile.

E ovviamente c’è anche Hollywood: il sogno americano, la passione per il cinema, e la sua potenza nella vita quotidiana di tutti. Perché il cinema in fondo è “l’unica vera macchina del tempo che sia mai stata inventata” e Hollywood ne rappresenta la sua maggiore incarnazione.

Hollywood è una commedia totale, coinvolgente sotto tutti i profili (ritmo e fluidità;  sostanza, arrivando dritta all’osso delle questioni senza mai perdersi in “chiacchiere a vuoto”, contorsioni superflue o “voli pindarici”), che fin suo debutto (2004) ha avuto oltre dieci milioni di spettatori in tutto il mondo (volendo citare solo alcuni Paesi ricordiamo Stati Uniti, Canada, Messico, Australia, Inghilterra, Francia) e che, dopo essere andata in scena in prima nazionale al Teatro Delle Muse di Ancona dal 27 al 30 ottobre 2016, è arrivata anche a Roma.

Alcune battute (V. Fleming: “Ma è impossibile! Chi non ha letto Via col vento??” Selznick: Eccolo lì, è il nostro sceneggiatore”; Selznick rivolto a B. Hecht e poi a V. Fleming: “Tu sei pagato per scrivere come dico io. E tu per dirigere come dico io le scene che lui avrà scritto come dico io”; B. Hecht dopo aver letto la celeberrima frase finale del libro di M. Mitchell “milleetrentasette pagine per scoprire che domani è un altro giorno????) non possono non  rimanere nella memoria dello spettatore. Dello spettatore che conosce bene e apprezza il libro di Margaret Mitchell e il film di Victor Fleming, di quello che conosce sia il libro sia il film e non li ha mai amati granché, così come di quello che non conosce né l’uno né l’altro.

Uno spettacolo (Presentato da AB MANAGEMENT in accordo con Ginevra MEDIA PRODUCTION) in cui un po’ tutto funziona: oltre al lavoro svolto da Virginia Acqua (sia nell’adattamento sia nella regia), ottimi anche le scene di Jean Haas, i costumi di Francesca Brunori, le musiche di Peter Ludwig, il  disegno luci di Giuseppe Filipponio e ovviamente gli interpreti, un vero “poker d’assi”. Antonio Catania (David O. Selznick), Gigio Alberti (Victor Fleming), e Gianluca Ramazzotti (Ben Hecht), scatenati più che mai in un continuo fuoco di fila di battute a raffica che ricorda molto da vicino i dialoghi di alcune commedie di Howard Hawks di fine anni Trenta/ inizio Quaranta (su tutte le già citate Susanna e La signora del venerdì) e altri film in H. Hawks ha messo mano in vario modo (compreso il classico della fantascienza La “Cosa” da un altro mondo - 1951 -, il cui regista - Christian Nyby - non a caso era stato il montatore di Howard Hawks per il noir Il grande sonno - 1946 - e per il western Il fiume rosso - 1948) e la brava  Paola Giannetti (Miss Poppenghul), la quale, con le sue incursioni piene di verve, paradossalmente ha funzione “distensiva” nei confronti della “pazzia creativa” dei tre protagonisti. Inoltre - altro merito tutt’altro che trascurabile - si tratta di una commedia che oltre a lasciare un buon ricordo, lascia anche una cosa che molte opere (teatrali e non), pur essendo ottime, non lasciano affatto, ovvero il desiderio di tornare a vederla una seconda e una terza volta.

Perché, in fin dei conti, la tragicomica e movimentata (volendo usare un generoso eufemismo) vicenda della realizzazione di Gone With The Wind altro non è che una sorta di “film nel film”. E come avviene nella maggior parte dei grandi film (compresi - ma non solo - molti fra i gialli - sia in letteratura, sia a teatro, sia al cinema - che vanno a stravolgere la struttura classica del giallo), in molti casi, per lo spettatore l’interesse fondamentale per lo spettatore non è tanto il “come va a finire” quanto invece il come ci si arriva.

 

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Ultima modifica il Mercoledì, 05/10/2022

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.


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