Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati al Teatro de’ Servi. Intervista a Elisa Rocca

Come è nata l’idea di adattare e mettere in scena il celebre libro di Dino Buzzati del 1940?
L’idea è nata da Massimo Roberto Beato che ha, ne La Compagnia dei Masnadieri, principalmente il ruolo di Dramaturg, cioè il compito di tradurre in testi da lui selezionati o direttamente creati da lui le pulsioni che animano la nostra ricerca. Mi ha proposto dunque il Deserto dei Tartari e, dopo averlo riletto, abbiamo convenuto che trattava una tematica per noi urgente, in una modalità che si adattava perfettamente al tipo di lavoro sull’attore e sul linguaggio scenico che abbiamo intrapreso negli ultimi anni. Dopodiché ci siamo concentrati sul realizzare una versione teatrale che permettesse alla mia idea registica di esprimersi, in un luogo ben preciso che è il nostro teatro, lo Spazio 18b a Garbatella, senza tradire il romanzo di Buzzati. È bene ricordare che Massimo ha dato vita ad uno straordinario adattamento del romanzo, fedelissimo nelle tematiche e nel linguaggio a Buzzati, ma fortemente intriso della nostra visione artistica e poetica. Già dal titolo del suo adattamento si capisce su cosa abbiamo voluto concentrarci: La Fortezza - momento unico per tre attori soli.
Riferimenti, connessioni, differenze e/o analogie con il libro di Buzzati, con la versione cinematografica degli anni Settanta diretta da Valerio Zurlini e/o con altre opere tratte da romanzi che hai portato in scena?
Come dicevo la vicenda e la tematica è rimasta inalterata rispetto al romanzo di Buzzati. Abbiamo solo posto un accento maggiore sugli aspetti fiabeschi della vicenda, che si leggono in filigrana nel romanzo, ma che in teatro ci hanno offerto l’occasione di lavorare di immaginazione, creando un mondo denso di atmosfere suggestive, rese vive dalla straordinaria drammaturgia sonora originale di Giorgio Stefanori e dalle animazioni digitali realizzate da Marta Bencich su disegni originali di Jacopo Bezzi, direttamente ispirati alle illustrazioni di Buzzati. Nessun riferimento esplicito invece, alla versione cinematografica di Zurlini, sebbene ammetto che nella mia scrittura scenica sono sempre debitrice al linguaggio e alle inquadrature di certi cineasti.
Qual è il sottotesto dello spettacolo? Cosa viene mostrato chiaramente e cosa, invece, vorresti che lo spettatore leggesse “fra le righe”?
Spero sempre che sia il pubblico a dirmi cosa legge nei miei spettacoli, piuttosto che io dire a loro cosa vederci, questo scambio alla pari è la ragione per cui ho scelto di raccontare storie attraverso il mezzo teatrale. Però posso dirti su cosa abbiamo lavorato noi, come compagnia, mentre lo preparavamo. Abbiamo definito il Deserto il primo capitolo di una nostra trilogia degli “Sconfitti”. È un termine la cui scoperta devo al regista giapponese Tadashi Suzuki che a sua volta lo ha mutuato da J. P. Sartre, uno degli autori del Novecento che più mi ha ispirato nel mio cammino personale. Parlare degli “sconfitti” è il cuore del nostro progetto di ricerca triennale, sostenuto anche dal MIBAC. Come Compagnia dei Masnadieri vogliamo infatti indagare sulla nostra generazione, quella nata a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento. E Il Deserto dei Tartari ci ha offerto l’occasione, attraverso il personaggio di Drogo, di riflettere sul destino di quelli che nella semiotica strutturale e generativa di Greimas vengono definiti gli ‘anti-soggetti’: ossia quei personaggi che rispetto agli eroi di un programma narrativo sono portatori di valori diversi e per questo destinati alla sconfitta. Come noi, i protagonisti del Deserto, Drogo e Ortiz, sono più o meno consapevoli di essere l’incarnazione di una cultura minoritaria, e dunque inesorabilmente condannati al fallimento, quando tentano di opporsi ai valori dominanti della narrazione in cui sono inseriti. Per loro bisognerebbe scrivere storie nuove, inventare nuovi mondi. Perciò il mio auspicio è che il pubblico riconosca qualcosa di sé in Drogo e si scopra più indulgente e comprensivo con quanti nella nostra società così performativa, non risultano apertamente vincenti.
Beh, non mi rimane che ringraziarti per la tua gentilezza e disponibilità.
Grazie infinite! Speriamo davvero di confrontarci con tanto pubblico al Teatro De’ Servi.
Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati (adattamento di Massimo Roberto Beato, regia: Elisa Rocca; interpreti: Massimo Roberto Beato, Alberto Melone, Matteo Tanganelli; produzione: La Compagnia dei Masnadieri/La Bilancia Produzioni) sarà in scena al Teatro de’ Servi fino a mercoledì 29 gennaio 2020.
Ultima modifica il Sabato, 24/09/2022
Alessandro Poggiani
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