Il mio segno particolare al Teatro Trastevere

«Passami il mantello nero il costume da torero oggi salvo il mondo intero con un pugno di poesie». Così canta Dario Brunori in una fra le sue canzoni.
Tutti, in fondo, possiamo far qualche cosa per salvare il mondo. Basta prendersi un momento per raccogliere un pugno di poesie, per indossare un mantello, scoprirsi ancora una volta bambini e comprendere che abbiamo tutti delle storie da raccontare. Ogni vita ha le sue peculiarità. Questo il punto di partenza da cui nasce lo spettacolo Il mio segno particolare, regia di Maria Antonia Fama, adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Michele D’Ignazio, pubblicato da Rizzoli nel 2021: una storia avvolgente e coinvolgente che è una porta aperta sui ricordi e sui sogni, in una stanza dell’infanzia in cui si alternano dottori, palloncini, zie, compleanni, biciclette, divenendo tutti parte di un grande gioco.
Michele nasce il 7 gennaio 1984. I suoi genitori non vedono l’ora di conoscerlo, di prenderlo in braccio, di portarlo a casa. Tuttavia, quando lo vedono per la prima volta restano stupiti. Sulla schiena il piccolo ha qualcosa: una specie di mantello, proprio come quello dei supereroi. Cominciano così mille avventure, dentro e fuori dagli ospedali, con medici, sale operatorie e infiniti rotoli di garza. Michele, ormai adulto, racconta e continua a giocare con i bambini che incontra, con se stesso e con i suoi genitori, svelando quel segno particolare che gli ha segnato la vita e facendoci riflettere sull'importanza di ogni particolarità e sul senso della malattia. Un monologo per un attore solo, che sul palcoscenico prende vita, trasformandosi in una ballata a più voci, fra ombre moleste, nei giganti, marionette e le voci dei bambini “macchiolini”, che come Michele portano ogni giorno quel mantello che li rende forti e un po’ supereroi. Tutti “Scherzi della Natura” come lui, che non hanno fatto neanche in tempo a presentarsi a questo mondo, ad ambientarsi, a capirci qualche cosa e già dovevano viaggiare, saltare, correre e lottare. C’è chi “è nato con la camicia”, loro sono nati con la valigia.
Lo spettacolo è stato realizzato grazie al prezioso sostegno dell'Associazione Naevus Italia, che riunisce le persone con nevo melanocitico congenito gigante, una malformazione della pelle molto rara, caratterizzata dalla presenza alla nascita di nei di elevate dimensioni che coprono tra 10% e il 90% della pelle del bambino.
«Il mio segno particolare è una favola per i grandi e per i piccoli, che sulla scena si trasforma in un viaggio su e giù per l’Italia e sempre più lontano, oltre i confini dell’oceano. Una storia che è anche un viaggio dentro se stessi, alla riscoperta della malattia e di come viverla attraverso il gioco. Una riflessione sulle imperfezioni (esteriori e interiori) che ci fanno come siamo, pezzi unici. Il mio segno particolare gioca anche con il mondo dei supereroi e dei loro poteri. Alla fine della narrazione, però, ciò che emerge è proprio un elogio dell’arte di raccontare: è il nostro vero superpotere, perché permette di valorizzare ciò che ci capita, ci fa maturare, crea degli incredibili ponti con le storie degli altri. È importante non nascondersi o sentirsi in colpa per le proprie particolarità. Raccontare la propria storia è un modo per fare pace con il proprio passato, con la propria infanzia e di vederne gli aspetti più poetici ed essenziali. L’arte del raccontare fa uso del linguaggio ed è ugualmente importante prendere coscienza delle parole che utilizziamo. Il linguaggio è qualcosa di potente: modificando in positivo i modi di dire e il loro significato, cambiamo il nostro sguardo sul mondo. E di conseguenza cambiamo noi stessi e il mondo che ci circonda. In francese i nei si chiamano grains de beautés: chicchi di bellezza. In spagnolo invece si chiamano lunares, perché sono satelliti e fanno pensare alla luna piena. E in inglese skin mole, come le montagnole marroni che le talpe creano nel terreno. Ma anche come il molo, quello dei porti con le navi pronte a salpare. Di questi tempi viene molto utilizzata la parola “resilienza”. È una bella immagine, presa in prestito dalla fisica, di un corpo che sopporta una deformazione, uno stress e poi ritorna allo stato originario, dimostrando elasticità psichica e forza. È però più attinente a questa storia il concetto di “antifragilità”, di cui parla Nassim Taleb. Se la resilienza è la capacità di rimanere se stessi nonostante gli “urti” della vita, l’antifragilità è invece la capacità di diventare una cosa nuova e migliore, proprio grazie all’urto subìto. È abbracciare l'imprevisto, l'incertezza, il cambiamento, assumerne positivamente il rischio. È accettare che la vita è una costante trasformazione» (Maria Antonia Fama, Michele D’Ignazio)
Michele D’Ignazio (Cosenza, 1984) pubblica libri con Rizzoli. I più conosciuti sono la serie long-seller di Storia di una matita, che ha conquistato tanti bambini, divenendo una fra le letture di narrativa preferita nelle scuole, la trilogia di Babbo Natale, cominciata con Il secondo lavoro di Babbo Natale, tradotto in dodici lingue, Pacunaimba, un romanzo avventuroso alla scoperta del Brasile più nascosto, e l’autobiografico Il mio segno particolare. Numerosi i progetti paralleli alla scrittura: oltre ai numerosi incontri nelle scuole, dai suoi libri sono nati laboratori e spettacoli teatrali. In estate gestisce una piccola locanda, Il Vicolo, Vineria, nel centro storico di San Nicola Arcella (CS), sull’alto Tirreno calabrese, dove fonde la sua passione per il cibo con l’arte e la cultura.
Il mio segno particolare, tratto dal romanzo omonimo (Rizzoli, 2021) di Michele D’Ignazio - adattamento drammaturgico: Maria Antonia Fama, M. D’Ignazio; regia: M. A. Fama; interprete: Marco Zordan; teatro delle ombre: Corinna Bologna; luci: Pietro Frascaro - rimarrà in scena al Teatro Trastevere fino a domenica 20 marzo 2022.
Ultima modifica il Sabato, 19/03/2022
Alessandro Poggiani
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