L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro 3,5. Intervista a Betta Cianchini e Alan Bianchi

Betta Cianchini (seconda da sinistra) con Madia Mauro, Alan Bianchi, Chiara Becchimanzi e Marina Pennafina Betta Cianchini (seconda da sinistra) con Madia Mauro, Alan Bianchi, Chiara Becchimanzi e Marina Pennafina
È andata in scena venerdì 10 e sabato 11 gennaio 2020 al Roma Fringe Festival la pièce di Betta Cianchini “L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro ‘3,5’”, regia di Alan Bianchi ed interpretata da Marina Pennafina, dalla stessa Betta Cianchini e da Chiara Becchimanzi. Abbiamo incontrato l’autrice e il regista ed abbiamo rivolto loro alcune domande.

L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro “3,5” affronta il dramma dei giovani operai che muoiono sul lavoro e delle madri che perdono il proprio figlio per sempre. E “3,5”? «in Italia è lamedia delle persone che muoiono ogni giorno sul posto di lavoro». Quasi milletrecento le madri che perdono i loro figli. Sono i numeri che fanno rabbrividire anche solo a leggerli o scriverli. Come è nata l’idea di scrivere e mettere in scena un’opera di questo tipo?

Betta Cianchini: L’idea è nata proprio da un trafiletto letto sul giornale, proprio come racconta in scena, la madre di Massimo al funerale del figlio. Il trafiletto recitava «muore un giovanissimo operaio, schiacciato da un carico che era su una gru. L’operaio è morto sul colpo». Queste le parole spese. Poche. Fredde. Non che un lungo articolo potesse fare la differenza, ma “di pancia” e “di cuore” la prima cosa che ho pensato è stata quella di mettermi nei panni di una madre.Quella madre che ha perso il figlio proprio in quel cantiere.Quella madre che aspettava il figlio la sera per preparargli “i capellini fini, fini che gli piacevano tanto”. Ecco proprio quella madre lì. E ho ripercorso a ritroso i suoi pensieri. L’ho vista avere cura nervosamente di una casa non ricca. L’ho vista aspettare ancor più nervosamente i suoi amici per la festa organizzata un po’ alla buona. Il giorno della firma del contratto di Massimo pizzette, vino, dolci e musica, perché «Massimo ha firmato il contratto, je brillavano l‘occhi mentre me lo diceva e c’avrà la tredicesima!!»

La regia ha fatto molta attenzione a restare su toni di verità. I toni della vita reale che vogliamo ricreare in scena. I toni della vita delle persone che ogni giorno vanno a lavoro e che dovrebbero ritornare felici a casa, come felici dovrebbero essere le loro giornate a lavoro… almeno un lavoro che sia un piacere fare, ovviamente. Perché dovrebbe essere così.

Quindi l’ho “sentita” parlare con Massimo con una mano sulla pancia.  Mentre era “in dolce attesa”.

E il distinguo tra morti bianche (bimbi) e morte bianche sul lavoro è importante. È lieve, leggero.  Perché l’attesa di un figlio è lieve, la sua perdita un macigno. E quel macigno lo respiriamo dall’inizio. E non ci lascia mai, nonostante la leggerezza degli ultimi momenti.

 

Ci sono riferimenti, connessioni, differenze e/o analogie con altre tue opere in cui hai affrontato argomenti altrettanto seri e drammatici? Penso ad esempio a Storie di donne morte ammazzate (barbarie italiana), andato in scena per la prima volta nell’ottobre 2013 al Teatro Lo Spazio e terminato con l’indimenticata Notte Rossa contro il femminicidio del 13 ottobre di quell’anno (in contemporanea in varie altre città italiane ed anche a New York e Los Angeles), Ferocia - Fateci smettere questo spettacolo! (novembre 2018, Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, cui son seguiti dieci repliche in altrettanti istituti scolastici nel corso del 2018/19) e Dolce attesa per chi?, andato in scena al Teatro Trastevere nel novembre 2019.   

B. C.: Il tema della nascita e della morte effettivamente ricorre sempre. Anche perché, tutto è in quel momento… in quell’intermezzo che è l’esistenza. Che spesso è insicura, senza vocazione alla felicità e anzi solo attenta a farsi le ossa per non cadere, non farsi male, non farsi fare del male. Ecco, ci sono tante analogie per temi così diversi tra loro che solo l’idea fa venire i brividi. Dolce attesa è un prurito mentale che poi diventerà fisico, quando la lana e il cotone non buono provocheranno fastidio, durante la gravidanza.

Come in Post Partum lei/lui se non ci sono dei nonni agibili, se non c’è una rete sociale, la maternità e la paternità diventano compiti difficili.

Così come nel Format sulla violenza contro le donne. Interessarsi al tema femminile in tutte le sue declinazioni è stato per me fisiologico e naturale. Non credo si possa accostarsi al mestiere di “attrici / autrici” senza guardarsi intorno ed accorgersi di ciò che accade. Ho sempre avuto un bisogno estremo, una URGENZA di raccontare l’umano (femminile o maschile). Come evitare questo? Impossibile. Ecco l’urgenza è il motore che tritura la nostra testa e ci impone di dare voce e parole alle testimonianze che andiamo a ricercare, a quelle che ti arrivano, alle storie che intercetti.

L’urgenza di raccontare queste storie ti fa muovere i passi. E ti spiana la via. Sempre in salita, ma questa è la forza dell’urgenza. Essa è più potente degli impedimenti che si creano e che desistono quindi di interrompere il cammino.

Ho iniziato con lavori che avevano come compito principe quello di intercettare il pubblico... cioè di portare il teatro fuori dal teatro stesso. Alla Fonderia delle Arti (polo artistico che ha portato a Roma l’innovazione dello Spazio aperto e polifunzionale) ho sviluppato spettacoli che prevedevano il linguaggio dell’Arte, (pittura e allestimenti artistici) il teatro/il giornalismo e la musica uniti e arabescati in una sinergia effervescente. Ma le storie e le voci delle donne e degli uomini, ovviamente, che incontro e che intervisto, sono lo stimolo per avvicinare la vita quotidiana, con le sue fobie, problematiche, resistenze ma anche meraviglie al linguaggio del Teatro.

“Dolce attesa per chi?” è uno spettacolo che nasce ascoltando le paure di alcune donne e il desiderio di altre di avere un figlio. Con Giada Prandi e Cristiana Vaccaio e Veronica Milaneschi, la regia di Marco Maltauro. Una donna vuole un figlio, anche se precaria e anche se il suo uomo (ricercatore) vuole andare a vivere e lavorare in Australia. L’altra non ne vuole sapere. Teme che questo paese non sia il paese giusto per fare figli e farli crescere felici. Alla fine vincerà il coraggio. E la maternità. Ma il tema sociale delle ristrettezze miopi di un Paese che non ti permette agevolmente di fare un’amniocentesi quando ti spetta fa capolino. E così telefonate vere a ospedali e al CUP intersecano lo spettacolo portando nella commedia il riso amaro delle vicissitudini poco felici che una neo mamma deve sopportare.

Quindi lo spettacolo Post Partum Lei sulla maternità è stata davvero una MIA PERSONALE URGENZA NELL’URGENZA.

Mio figlio è nato con il reflusso gastroesofageo e non ha/ ho/abbiamo dormito per un anno e mezzo e mi sono chiesta: «Se non avessi iniziato a chiedere a tante donne come si sentivano.. e non avessi iniziato a scrivere mi sarei sentita morire!» Del resto non dormire era una delle torture cinesi!

E quindi ho iniziato le mie domande: Cosa accade nella testa e nel corpo di una donna dopo il parto? In Italia - senza nonni agibili - è “agibile” fare figli? Le istituzioni cosa fanno? E una madre precaria in una situazione precaria come reagisce, a parte entrare “nel fantastico mondo della cacca”? Sì perché le donne italiane - appena avuto un figlio - non parlano d’altro. E la cacca che fa il loro bambino è sempre più bella e più buona degli altri! 

Ma spesso, quelle più sole o con bimbi non “facili”, (i famosi “pacchetti difettosi”) oltre a parlarne… ci si ritrovano.

Post Partum è la tragicomica quotidianità di una neo-mamma in panne… che ha il coraggio di “chiedere aiuto”. È un grido beffardo della mente. La sua urgenza di parlare e di affrontare i problemi è oggi maggiormente necessaria. Poiché un “mammismo italiano” sembra impedire alle stesse di pronunciare parole che tradiscano stanchezza o bisogno di sostegno. Riderne durante uno spettacolo è un balsamo per la mente, una forma “psicotonica” di esercizio. Conoscere vuol dire imparare a capire e quindi imparare a difendersi... Ecco perché Post Partum è uno spettacolo per tutti.

I Video - Testimonianze i Consultori Romani

All’inizio del monologo vengono proiettate le immagini di alcune telefonate pilota fatte ai Consultori di Roma. Come in Dolce Attesa per chi?.

Ovviamente ho pensato anche alla versione maschile e cioè al neo papà: “Post partum (lui)”

Focalizza l’attenzione sulla generazione degli “attuali papà” che è la prima generazione italiana in assoluto a confrontarsi con la nevrosi del “Post Partum... maschile”.

Oltre all’ansia da prestazione maschile - ormai dirottata soprattutto sul piano lavorativo - i neo papà soffrono di una sindrome da stress post partum. Tornano a casa affaticati ed affranti e trovano una donna con capelli dritti e occhi pallati che li accoglie con un: «tieni... io devo lavorare e devo fare 100 cose!». E gli “ammolla” un frugoletto che nella migliore delle ipotesi dorme... ma nella più plausibile delle ipotesi... “strilla”. Notti insonni, pannolini nauseabondi da “gestire”, niente sesso ed il peso mentale di essere;  “quello che non sta a casa tutto il giorno con il bimbo... figurati, lavorare è riposarsi... al confronto”.

Come per la versione femminile, saranno le testimonianze dei tanti “giovani-papà” intervistati a fare da base al racconto del protagonista. La cruda ed ironica visione maschile di una problematica che fino ad ora è stata solo ed esclusivamente appannaggio femminile. Nelle nostre case, quando il papà tornava a casa, la mamma diceva: «ora piano, che papà è stanco, ha lavorato tanto. Forza bimbi a cena e a letto».

Oggi quando torna a casa il papà si trova un bimbo da gestire e... una “erinni in ciabatte” che vorrebbe essere mamma, lavoratrice e donna e che forse “moglie ” poco è...

Lo spettacolo è stato presentato in tantissime piazze italiane ed è stato inoltre scelto per la rassegna Giovani@teatro in 10 spazi culturali e teatri di periferia. Tra gli spazi coinvolti nel progetto anche la Centrale Montemartini, il Teatro di Tor Bella Monaca e il Centro Culturale Elsa Morante, nei quali l’iniziativa si avvale della collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale Sovraintendenza ai Beni Culturali.

 

Ferocia

Ma grande impatto (anche nella mia vita) ha avuto il Progetto STORIE DI DONNE (allegra barbarie italiana). Un progetto sul tema scottante della violenza sulla donna. 

FEROCIA È IL NUOVO PROGETTO DEL 2015/2016:

tratto dal Progetto informativo, formativo e performativo sulla violenza contro le donne: Storie di donne/barbarie italiana.

Un Format nato più di cinque anni fa, il cui motto è: Fateci smettere questo spettacolo.

Il Focus di questo progetto è la condivisione di impegno e partecipazione attiva nella lotta contro il fenomeno del femminicidio tra uomini e donne. Questo progetto si ripromette di portare alla ribalta il problema da un punto di vista troppo spesso ignorato: Gli uomini “violenti” sono stati prima di tutto figli, fratelli, alunni quindi mariti, compagni e padri. È soprattutto a loro che dobbiamo parlare.

 

Il motto è Fateci smettere questo spettacolo

Purtroppo è la cronaca italiana che ci spinge a continuare e a non fermarci. Le storie di barbarie italiana continueranno ad andare in scena fin quando ce ne saranno ancora e noi ci fermeremo il primo anno scevro da queste orribili crudeltà. E con l’Associazione Le Funambole continueremo in questa lotta. La cooperazione con Radio Rock è importantissimo. L’editrice Patrizia Palladino e il Direttore artistico Emilio Pappagallo hanno accolto da sempre l’impegno e il claim. Quest’anno infatti io. Alan Bianchi e tutti gli speaker abbiamo promosso la lettura a rotazione delle storie e delle testimonianze da me raccolte di uomini e donne. È stato molto impattante e ho ricevuto un feedback importante. Insomma, bisogna fare, agire e soprattutto sostenere la crescita dell’autostima delle ragazze e la capacità di agire in maniera non violenta per i ragazzi e soprattutto la costruzione di un’educazione sentimentale sana.

Una grammatica emotiva basata sul rapporto di complicità e non di possesso. È un percorso che parte da lontano ma tutto parte e torna al teatro, la scena è fulcro di questo viaggio.

Tre attori o due attori saranno gli interpreti delle storie. Storie ottenute incollando brandelli di verità; una scelta di rispetto e di non profanazione delle vite che hanno lasciato traccia nella mia scrittura. Uno spettacolo agile perché possa essere capillare e di facile allestimento; la scelta di un teatro che torna all’origine e affida quindi alla parola l’urgenza di verità, di guardarsi dall’esterno per comprendersi. Storie di donne è infatti un Progetto che racconta storie italiane di barbarie “tra le mura poco domestiche” e che per la prima volta mette in scena non solo storie di donne ma anchestorie di uomini, uomini che hanno agito violenza o che sono riusciti a domare le loro pulsioni violente.

Ferocia porta in scena tre Storie di donne delle 18 dello stesso Format.

Tre diverse vite che si intersecheranno sul palco. Acidamente e beffardamente. Una giovane donna innamorata, una professionista alto-borghese ed una madre. Tre donne che vogliono raccontarsi, vogliono ricordare e scrollare la nostra attenzione. Un arabesco pulsante di “necessità ed urgenza di parlare”, un memento tagliente. In teatrocome nella vita presentiamo la possibilitàdella donna di denunciare e di rifarsi una nuova vita e la capacità del maschile di mettersi in discussione e di“operare una scelta non violenta”. Ognuna di queste storie non è la mera narrazione di un unico fatto di cronaca, poiché raccontare la crudeltà del fenomeno rischierebbe di abusare una vita che già di suo è stata intrisa di soprusi e dolorosa profanazione. Ogni storia messa in scena è il puzzle di tante storie quotidiane che hanno alla base le stesse violente dinamiche culturali ed emotive.

Le storie a oggi sono più di 18, un vero e proprio caleidoscopio di vite ricomposto nella finzione scenica; anche le storie non saranno sempre le stesse, ma vengono scelte con la committenza in modo adeguato alle necessità specifica del territorio che accoglie questo progetto. Il senso: far arrivare la violenza come potenziale appannaggio di ciascuno

Lo spettacolo Storie di donne aveva aderito alla campagna Noino.org.

La campagna si sposa perfettamente con il nostro progetto!! Poiché L'imprinting culturale è l'unica “arma bianca”. Dalle materne. Dalle scuole. Ne sono certa. È da lì che inizia tutto. Non ho ricette, ma so che è un fenomeno trasversale, culturale, strutturale, che NON conosce differenze economiche, sociali e culturali. Le risposte e i pensieri catturati per strada la dicono lunga.  Ragazzi di 17 anni che rispondono con un inquietante «io sono un uomo, (????) capisci che se mio padre tradisce, è un conto ma se tradisce mia madre o la mia ragazza, è diverso, sono contro la violenza ma non so Cosa fare!!». L’educazione, come l’esempio in famiglia e a scuola, fa la differenza. Io da sempre cerco di coinvolgere gli uomini, ecco perché scrivo per attori che interpretano il processo mentale di uomini violenti.

Insomma Storie di donne è stato un progetto importante per me e per il mio percorso. Il 25 Novembre 2014 per la Giornata Mondiale contro la Violenza sulla donna indetta dall'O.N.U. sono stata infatti chiamata a presentare la Manifestazione romana a nome di ROMACAPITALE a Piazza del Popolo e ne ho curato la direzione artistica. Inoltre RomaCapitale ha deciso di sostenere il mio Progetto 15 storie in 15 Municipi.

Infatti 15 delle quasi 20 storie sono state raccontate in luoghi non convenzionali (dalle fermate Metro, alle Sale Consiliari, alle Biblioteche, alle strade, ai Centri Commerciali, all’Anagrafe) dei 15 Municipi romani con altrettanti Artisti. Un esito forte e potente, commovente direi.

Anche il 25 Novembre 2013 per la Giornata Mondiale contro la Violenza sulla donna, sono stata chiamata a presentare la Manifestazione romana in Piazza del Campidoglio.

E l’8 marzo 2014 l’assessora Alessandra Cattoi mi ha chiesto di scrivere e leggere un’apertura alla Premiazione della Campagna NOISI.ORG (promossa da Regione Lazio e Roma Capitale) nella Sala Esedra dei Musei Capitolini.  E la stessa mattina ho avuto l’onore di essere invitata al Quirinale per la celebrazione della giornata della donna dal Presidente Napolitano per il mio “importante lavoro e zelo nella battaglia contro la violenza sulla donna.

Inoltre le tante testimonianze e racconti raccolti dalla strada sono spesso oggetto di studio e dibattito nelle varie conferenze sull’argomento e nelle tavole rotonde sulle problematiche “delle pari opportunità” e sulle problematiche “di genere”. Ad esempio con Le Funambole operiamo nelle scuole. E qui importante è il feedback dei ragazzi proprio sulla tematica.

«Spesso anche quando si denuncia… c’è qualcosa che si inceppa… che non va avanti». Spiega una donna intervistata. Ed è proprio quel meccanismo difettoso che viene studiato e vivisezionato nelle storie del progetto ed ecco perché è stato ed è tuttora di fondamentale importanza la lungimiranza “artistica e sociale” di aver ricercato la collaborazione con le forze dell’ordine e con le istituzioni.

Le storie sono 18 Storie italiane di donne e di uomini.18 ambientazioni diverse. 18 casi diversi. A esse se ne stanno aggiungendo tante altre: donne che ce l’hanno fatta, coraggiose donne poliziotte e poliziotti altrettanto solerti. Credo che sia fondamentale dare un input positivo.

Ferocia è stata, ci tengo a sottolinearlo, in scena il 30 gennaio in prima nazionale anni fa a Corinaldo (Marche), Teatro Carlo Goldoni, in una rassegna dedicata al femminile dal titolo Pigmenti. Grazie a Lucia Bendìa. Sono felicissima della regia della grande Gabriela Eleonori (Compagnia della Rancia, regista degli spettacoli di prosa del notissimo Saverio Marconi)

Tanti sono stati i “blitz” organizzati e le repliche di Ferocia, Con il C.A.M. e la Cooperativa BeFree. Ora con Le Funambole, Associazione importantissima che opera in tutti i settori femminili. Professioniste che provengono da varie realtà. Con loro siamo sempre in prima linea.

Ma sempre prima e dopo il 25 novembre 2015. Perché il rischio è che lo stesso 25 stia diventando come l’8 marzo. Una sorta di ricorrenza a comando, della quale non si comprende il doloroso significato.

 

Qual è il sottotesto dello spettacolo e cosa viene mostrato chiaramente e cosa, invece, vorresti che lo spettatore/spettatrice leggesse “fra le righe” e, dopo aver visto lo spettacolo, si portasse dentro (magari anche molte settimane/mesi dopo, riflettendoci e rielaborandolo, ognuno con la propria testa e la propria sensibilità)?

Alan Bianchi:È la lettura di un dramma che deve essere recepito come tale ma senza l’approccio di una regia che strizzi l’occhio a quello che a volte sembra essere “una punizione teatrale”, più che uno spettacolo. Il dramma è nella semplicità della storia.  Un giorno tuo figlio esce di casa per andare a lavoro e non rientra più.  Non ci sono conferenze che possano spiegare meglio l’urgenza delle morti sul lavoro.  Non ci sono dati da snocciolare con enfasi.Ci sono figli che non tornano.  Madri che rimangono sole.

Questo è un dramma che può capitare a chiunque. È un dramma che è sempre in agguato.  Solo raccontando una storia che sembra essere drammaticamente universale nella sua semplicità si può arrivare a tutti. Purtroppo riusciamo a interessarci solo a tematiche che potrebbero coinvolgerci direttamente.  Sembra essere una prerogativa dell’essere umano.

Quindi la prima scena ci porta direttamente nel vivo nel dramma. La madre di Massimo racconta l’accaduto. È una madre distrutta.  Racconta lo strazio che prova cercando forza nelle parole dell’amico del figlio. «Quello che è accaduto a Massimo potrà accadere a un altro ragazzo». Questa urgenza riesce addirittura a farle vincere il dolore e a farla reagire. Deve raccontare a tutti.

La bara è l’unico oggetto di scena. La madre e la bara del figlio. A ritroso nel tempo quella bara diventa il tavolo. I fiori vengono posti in un vaso. La madre di Massimo è felice ora perché Massimo ha firmato «il primo contratto della vita sua».

Quindi la stessa bara, ancora indietro nel tempo, verrà aperta dalla terza attrice, poiché sarà diventata la cassa dei giochi. La cassa della nonna.

Con un oggetto di scena, unico e potente, la storia si dipana nel passato e la seguiamo nella semplicità di una vita semplice anch’essa, come semplice era il trafiletto striminzito del giornale che ha dato l’input alla Cianchini di scrivere il testo e a me di raccontare a ritroso col linguaggio scenico e la mia regia, di un mucchietto di legno che nelle mie mani si è trasformato in bara, in tavolo, in cassa di giocattoli.

Una regia sempre attenta alla verità. Non ricerco mai suoni enfatici dalle attrici ma il vero. Perché la verità delle morti sul lavoro parla di numeri assurdi, numeri che potrebbero servire a una storia inventata. 3,5 (quando fu scritto) 3,5 è la media delle morti giornaliere in Italia sul lavoro. 3,5 fa rabbrividire. Invece è lo schiaffo della realtà.

 

Quale sarà il futuro prossimo dello spettacolo? Sono previste altre repliche?

Betta Cianchini:Come lo è stato per il Format del 2013 dopo la Notte Rossa del femminicidio, (mi ha fatto molto piacere che tu lo abbia ricordato) il mio sogno è quello di portare questo spettacolo in tutta Italia e in tutti i dialetti… LA STESSA GIORNATA, ALLA STESSA ORA CON PIU’ ATTRICI. Stiamo cercando le forze… spero di poter coronare anche questo sogno! 

 

Beh, non mi rimane che ringraziarvi per la vostra disponibilità ed augurarti/augurarvi il meglio. Per questo spettacolo e per tutti i tuoi progetti futuri.

Grazie per l’attenzione! Davvero di cuore!

 

L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro “3,5” di Betta Cianchini (regia: Alan Bianchi; interpreti: Marina Pennafina, Betta Cianchini, Chiara Becchimanzi; grafica: Alessia Cianchetti; costumi: Tata; ufficio stampa: Madia Mauro; produzione: Le Funambole) è andato in scena al Roma Fringe Festival presso La Pelanda Macro Testaccio il 10 e l'11 gennaio 2020.

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Ultima modifica il Sabato, 24/09/2022

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.

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