Prigionieri al 7° piano al Teatro de’ Servi: intervista a Maria Letizia Compatangelo e Donatella Brocco

Prigionieri al 7° piano al Teatro de’ Servi: intervista a Maria Letizia Compatangelo e Donatella Brocco
In scena al Teatro de’ Servi - via del Mortaro 22, all’angolo con via del Tritone - a Roma fino a domenica 1 aprile 2018 “Prigionieri al 7° piano” di Maria Letizia Compatangelo, regia di Donatella Brocco, interpretato da Gianna Paola Scaffidi, Rosario Galli ed Elia Paniccia. Abbiamo incontrato l’autrice e la regista ed abbiamo rivolto loro alcune domande.

Prigionieri al 7° piano affronta in maniera tesa e serrata - senza lasciare troppo spazio all’ironia -argomenti molto delicati: la crisi economica, la perdita della casa, i rapporti fra marito e moglie che, anche dopo trent’anni di solido matrimonio, rischiano di guastarsi a causa delle difficoltà economiche medesime, il ruolo - a volte/troppo spesso tutt’altro che trasparente - delle banche e delle agenzie immobiliari -, gli “avvoltoi” in agguato e pronti a speculare sulle difficoltà altrui, la difficoltà nel trovare un sostegno disinteressato. Come è nata l’idea di mettere in scena un lavoro di questo tipo?

Maria Letizia Compatangelo: L’idea della messa in scena è nata dalla bella intesa lavorativa e artistica nata tra tre donne: Gianna Paola Scaffidi, Donatella Brocco e me. Insieme avevamo messo in scena un’altra mia commedia, Come Te, che è andata straordinariamente bene – e infatti contiamo di riprenderla presto. Donatella ha lanciato allora l’idea di non disperdere questo patrimonio di forze, professionalità e amicizia e continuare con un altro spettacolo. Io stavo finendo di scrivere per Rosario Galli e per me Prigionieri al piano… Ho proposto il testo, che è piaciuto a tutti e così, come raramente avviene nella vita, tutte le caselle si sono incastrate perfettamente, con Rosario Galli, al quale mi lega un’amicizia di lunga data, che ha accettato di far parte di questa nuova avventura.

Se poi parliamo di come sia nata l’idea del testo, è un’altra storia. Il testo è attuale in modo sorprendente, ma in realtà la sua ideazione è di qualche anno fa, almeno il 2011: uno spunto preso dalla vita reale, poi tenuto a lungo a maturare, in attesa delle soluzioni che mi convincessero. E poi, come sempre accade in teatro, il pungolo di Rosario affinché terminassi di scriverlo ha fatto il resto. Credo sia un testo che ha catturato lo spirito dei tempi che viviamo.

Donatella Brocco: Letizia scrive testi intriganti e coraggiosi e Gianna ed io amiamo molto il suo modo di affrontare i grandi e piccoli drammi del vivere contemporaneo. Noi tre avevamo già lavorato insieme un paio d’anni fa, in Come te, altro splendido testo di Letizia, e ci eravamo trovate molto bene, perciò, quando Letizia ci ha fatto leggere questa ultima opera, immediatamente ci siamo guardate e ci siamo dette che non potevamo non farlo. Abbiamo allora coinvolto il produttore, Pantano del Centro Teatrale Meridionale, scelto gli attori e trovato un teatro dove “testarlo” ed eccoci qui, da Marafante, che è un altro “coraggioso”.

 

Qual è il sottotesto della commedia? Cosa avete voluto rappresentare in modo chiaro e cosa vorreste che lo spettatore leggesse “fra le righe”.

M. L. C.: Il testo parla dell’impoverimento improvviso e imprevedibile della classe media, del disagio di chi si dedica ad una professione intellettuale (i nuovi poveri siamo certamente anche noi, gli artisti, insieme agli insegnanti e ai ricercatori) e del dolore del trovarsi a cinquant’anni senza paracadute, nudi, indifesi, di fronte ad una società che non ti rispetta. Mi ero già occupata di questo tema con il personaggio del pensionato Giulini, nella commedia Trasformazioni (Premio IDI 1988), tema che in Prigionieri diventa centrale, perché io sono convinta che stiamo da molti anni attraversando una guerra della finanza, che in tutto il mondo sta lasciando sul terreno morti e feriti. Ma si parla soprattutto della difficoltà del rimanare fedeli ai propri principi e della sofferenza nell’allontanarsene, perché non c’è altra strada.

Descritta così sembra una tragedia, ma niente paura: si sorride e si ride molto, invece, sia per i colpi di scena, sia perché c’è molto amore, il “cemento armato” che, insieme alla loro ironia e a un pizzico di umorismo, permette ai protagonisti Pino e Mariuccia di non sgretolarsi e precipitare. Tutti elementi messi ben in evidenza dalla recitazione e dalla regia.

D. B.: Che, oggi, vivere onestamente, in un mondo che fa degli onesti carne da macello, e’ sempre più difficile, ma che non bisogna arrendersi, anzi, che bisogna imparare ad usare gli stessi strumenti, che vengono adoperati per offenderci, come armi da difesa. L’intelligenza, il buon senso, l’educazione, l’amore stesso, vengono spesso messi a dura prova, ma non dobbiamo sentirci soli, le persone per bene sono solite parlare con toni più bassi, ma la somma delle loro voci può diventare una meravigliosa canzone di rivalsa umana collettiva.

In più vorrei sottolineare la parte “romantica”, che io adoro, di questi due coniugi, non edulcorati, che stanno insieme da così tanti anni e lottano, si graffiano ma si stringono l’uno all’altro per fronteggiare quel mondo “esterno” che vuole vincerli.

 

Un’altra cosa che colpisce di Prigionieri al 7° piano è il continuo gioco di contrasto fra apparenza e realtà. Pino e Mariuccia, i due protagonisti, ed Angelo, sono volti molto efficaci.  E nel corso dello spettacolo gli “equilibri” che di volta in volta sembrano esser stati raggiunti si rovesciano continuamente. In particolare molto interessante è il fatto che i tre personaggi, in un crescendo di avventure - e soprattutto disavventure - diventeranno alleati nell’ottimo finale a sorpresa.  

Costruendo i personaggi, avevate in mente anche altre opere - letterarie, teatrali o cinematografiche - in cui due o più personaggi inizialmente avversari a poco a poco si avvicinano, fino a trovarsi alleati per far fronte comune contro un nemico o contro delle difficoltà che, gioco forza, vanno risolte insieme?  

M. L. C.: A volte gli amici sono quelli che ti tradiscono e il nemico invece può trasformarsi, diventando “quasi amico”. È vero, c’è un continuo gioco tra apparenza e realtà e un costante – a volte eroicomico – tentativo di raggiungere un equilibrio, la tanto sospirata “tranquillità” del futuro… ma proprio come è il movimento che produce l’energia, così è la capacità dei nostri due coniugi di aprirsi al nuovo che produce effetti di cambiamenti a catena. Nessuno dei tre personaggi, al termine della pièce, sarà più lo stesso: ognuno ha influito sull’altro e ne è stato influenzato, e guarderà la vita con occhi diversi. Anche il pubblico, che esce con il sorriso ma anche continuando a discutere di quanto ha visto… e questo, per noi che facciamo teatro, è una grande soddisfazione.

D. B.: Non in modo specifico, ma di certo tutto quello che è stato già fatto o detto, tutto ciò che ho visto o letto, ha, in qualche modo, contribuito a formare la mia visione del testo. Sia le “impalcature” che aggrediscono la scena, che la scelta dei brani musicali e la messa a punto delle intenzioni e delle direzioni degli attori, sono parte di una sensibilità personale che è comunque il risultato delle mie esperienze personali miscelate con quelle che ho osservato negli altri, si sia trattato di persone o di opere artistiche.

 

Senza nulla togliere all’autrice, al regista ed a tutti colori i quali/le quali hanno lavorato allo spettacolo, è innegabile il fatto che il merito della riuscita di Prigionieri al 7° piano è anche dei due attori protagonisti (che da soli, praticamente reggono l’intero spettacolo dando vita a ritratti psicologici molto convincenti) e del terzo (un ottimo Elia Paniccia, che riesce a conferire notevole spessore al personaggio del cinico emissario della compagnia immobiliare che poi rivelerà anche il suo lato più umano). Come siete riusciti a “governare” il tutto ed a costruire i personaggi - ed a renderli empatici - in maniera così efficace?

M. L. C.: Questa credo sia una domanda per la regista, ma io sono completamente d’accordo! Gianna Paola Scaffidi e Rosario Galli, i due protagonisti, sono formidabili, affiatati, naturali, credibili, divertenti, commoventi e imprevedibili per quel pizzico di invenzione che sera dopo sera rende ogni replica unica e migliora lo spettacolo. Elia Paniccia è stato una rivelazione, da attore esordiente, per l’autorità e la verità che dona al suo personaggio. Da autrice sono felice del loro amore per le mie parole, del loro entusiasmo per questa storia e questi personaggi. Hanno lavorato molto e molto sodo sotto la guida maieutica di Donatella, bravissima e paziente… ma senza mai perdere di vista gli obiettivi - e infatti, come si dice, li ha portati tutti a casa!

D. B.: Uno spettacolo è sempre il risultato di un lavoro di squadra, e, più la squadra è variegata, ma compatta, più il risultato è convincente. Io ho avuto la possibilità di lavorare con attori intelligenti, sensibili e generosi e nel mettere “in piedi” i personaggi mi sono semplicemente guardata intorno, tutti noi siamo portatori di poesia e di ironia, le nostre stesse vite sono un continuo alternante flusso di emozioni e dubbi, di risate e lacrime.  Le matrici dei sentimenti e delle situazioni si differenziano tra loro per dettagli contingenti, ma gli afflati, le necessità e le paure attraversano trasversalmente le classi sociali, e per questo ci si ritrova uniti nel combattere qualcosa che sta soffocando tutti. Da qui il fronte comune, il sodalizio tra le persone. I gesti, i pensieri dei tre protagonisti si scontrano dapprima per poi riconoscersi e mescolarsi al fine di difendere la qualità della vita di ognuno.

 

Grazie mille per l’intervista e per la vostra disponibilità. Beh, cosa dire? Avanti tutta, In bocca al lupo e, come si dice a teatro, merda!

M. L. C.: Grazie a te e ad Agrpress per averci dato modo di raccontare il nostro spettacolo con domande così pertinenti. Allora arrivederci al Teatro de’ Servi, con Prigionieri al 7°piano!

D. B.: Viva il lupo! E grazie.

 

Prigionieri al 7°piano di Maria Letizia Compatangelo (regia: Donatella Brocco; interpreti: Gianna Paola Scaffidi, Rosario Galli, Elia Paniccia) rimarrà in scena al Teatro de’ Servi fino a domenica 1 aprile 2018.

 

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da oltre quindici anni, ha lavorato come battitore e segretario di produzione per un documentario su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore e con la Dino Audino Editore. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e collaboratore alle vendite in occasione di presentazioni, incontri, dibattiti e fiere librarie.

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